Odhecaton
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Quella voce che giunge dal passato: a colloquio con Paolo Da Col

Paolo Da Col è uno dei più noti esperti ed interpreti italiani della musica del Rinascimento. Ha rivolto sin da giovanissimo i propri interessi al repertorio della musica rinascimentale e pre-classica, unendo costantemente ricerca ed esecuzione. Ha compiuto studi musicali al Conservatorio di Bologna e musicologici all’Università Ca’ Foscari di Venezia e presso il Centre d’Études Supérieures de la Renaissance di Tours, dove ha svolto un Dottorato di ricerca sulla vocalità del Rinascimento. Bibliotecario del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, è stato docente di Storia della Musica (Istituto O. Vecchi di Modena) e bibliotecario dei Conservatori di Bolzano e di Trieste. Ha diretto il catalogo di musica dell’editore Arnaldo Forni di Bologna, dirige la rivista L’Organo fondata da Luigi Ferdinando Tagliavini, è curatore di edizioni di musica strumentale e di raccolte di studi musicologici, autore di saggi di storia della vocalità, di bibliografia musicale e di cataloghi di Fondi musicali. Collabora all’edizione dell’opera omnia di Carlo Gesualdo da Venosa e di Giuseppe Tartini. In qualità di cantante ha fatto parte per oltre vent’anni di numerose formazioni vocali italiane. Dal 1998 dirige l’Ensemble vocale Odhecaton, con il quale ha registrato una quindicina di CD per le etichette Bongiovanni, Assai, Ramée, Ricercar, Arcana, The Classic Voice, RALS, Musique en Wallonie, Cantus. Le registrazioni, dedicate alla polifonia sacra dei secoli XV-XVIII, hanno ottenuto alcuni dei maggiori riconoscimenti discografici: Grand prix international de l’Académie du disque lyrique, 2 diapason d’or de l’année, choc (Classica), disco del mese (Amadeus e CD Classics), cd of the Year (Goldberg), Editor’s choice (Gramophone). Per l’attività artistica svolta con l’ensemble Odhecaton, ha ottenuto nel 2018 il Premio Abbiati della critica musicale italiana.

Caro Paolo, il tuo curriculum e la tua attività con l’ensemble Odhecaton (che ha festeggiato lo scorso anno il quarto di secolo di vita) fanno di te uno dei personaggi più autorevoli della riscoperta del linguaggio musicale del Rinascimento, soprattutto di quello del Belpaese. Nelle tue interpretazioni, infatti, la mia generazione – e non solo questa – ha (ri)scoperto quell’autentico ‘gusto italiano’ che era caduto un po’ in oblio nelle interpretazioni di gruppi vocali d’Oltralpe. Quale ruolo pensi abbia avuto e quale missione ritieni possa incarnare l’attività del gruppo da te diretto?

La mia generazione ha ‘acceso’ il suo interesse e la sua passione per la musica antica grazie anche alle registrazioni discografiche e ai concerti di formazioni, soprattutto anglosassoni, che prima di noi avevano esplorato e riproposto il patrimonio musicale medievale, rinascimentale e pre-classico con un approccio attento alle prassi esecutive storiche. Formazioni quali Hilliard o Pro cantione antiqua, o interpreti geniali e visionari quali David Munrow, che ho avuto la fortuna di ascoltare prima della sua precoce scomparsa (1942-1976), mi hanno fatto comprendere che era possibile comporre un insieme di sole voci maschili per affrontare grande parte della polifonia rinascimentale, con esiti timbrici sorprendenti. Con la nascita di Odhecaton, nel 1998, ho compreso che era possibile cercare un nuovo percorso, attento alla parola e alla vivacità della sua resa sonora. La coscienza di una nostra ‘diversità’ è nata anche grazie alle reazioni di parte della critica musicale britannica: ricordo il noto musicologo e critico David Fallows, secondo il quale la musica di Josquin era da noi affrontata with courage, che i nostri cantanti sing robustly e risolvevano le note difficoltà della polifonia del compositore with corageous and forward singing, ed infine che riuscivano to keep the sound alive without exaggeration or artificiality. Ho grande ammirazione per l’apollinea armonia di tanti gruppi polifonici inglesi, nei quali apprezzo la perfetta intonazione e la straordinaria continuità del suono, che, come in un organo, mette in rilievo la componente armonica della polifonia. Ma conosco anche la prudenza di colleghi inglesi che in alcune formazioni frenano il loro ‘coraggio’ in nome della perfezione dell’equilibrio sonoro. Abbiamo affrontato la temibile sfida di dare realtà sonora al concetto oraziano di concordia discors, al quale ricorrevano tanti teorici della musica e dell’architettura: trovare un armonioso equilibrio tra componenti vocali diverse e distinte senza mortificare il movimento interno di ogni linea del contrappunto e le individualità timbriche di ogni cantante.

La tua attività unisce ricerca musicologica e interpretazione musicale. Fare musica antica oggi non può prescindere, infatti, da un approccio serio, storicamente informato e criticamente competente alle fonti antiche. Come ti poni di fronte a questa impostazione metodologica? Cosa è stato fatto finora e cosa ritieni si debba ancora fare su questo fronte?

Agli antichi cantori erano richieste due generi di attitudini per l’ingresso in una importante cappella musicale: la buona voce, che in parte rappresentava un dono di natura, e la capacità di utilizzarla grazie a competenza teorica, esperienza, facilità di lettura e stile. Anche oggi queste ultime qualità sono importanti per un esecutore, che deve anche saper affrontare la laconicità delle pagine più antiche, prive di informazioni ovvie per gli esecutori d’un tempo. Si rende perciò necessario approfondire la conoscenza della possibile corrispondenza tra i simboli grafici, ovvero la notazione musicale e la loro restituzione in suono. Vanno affrontati vari aspetti della pratica esecutiva per tutelare una certa proprietà d’espressione, ad esempio eseguendo correttamente le alterazioni non scritte (la cosiddetta musica ficta), interpretando le indicazioni di tempo, aggiungendo l’ornamentazione in modo stilisticamente appropriato. Non sempre le fonti teoriche coeve alle musiche affrontate sono illuminanti: occorre saper interpretare concetti e lessico, e v’è sempre qualcosa che la parola non riesce a trasmettere, perché appartiene alla sfera soggettiva dell’interpretazione. Ma è anche utile raccogliere le pur scarne informazioni sulle condizioni materiali delle esecuzioni, sempre considerando l’estrema loro variabilità.

Ensemble OdhecatonQuella voce che giunge dal passato: a colloquio con Paolo Da Col
Ensemble Odhecaton

La storia ufficiale della musica coincide spesso con quella dei grandi maestri, almeno nel sentire comune. Ma in verità il passato ci consegna continuamente opere di altissima qualità nate dalla penna di compositori poco o per nulla noti, che hanno avuto solo la sfortuna di non avere dalla loro un musicologo o un interprete che li abbia riconsegnati al pubblico. Tu ti sei occupato, con ottimi risultati, sia degli artisti più grandi quanto di nomi meno noti, dei quali però hai posto in luce la grandezza celata dal tempo. Che ne pensi a riguardo?

Ero solito lamentare che grandi compositori fossero conosciuti attraverso poche e notissime composizioni, frequentate da ogni formazione corale, a dispetto di una vasta produzione. Ma ho dovuto contraddirmi registrando la Missa Papae Marcelli e il mottetto Sicut cervus di Palestrina, che mai avrei pensato di eseguire. Ci sono casi come questo nei quali l’altissimo valore di una creazione musicale ne determina la fortuna, ma accade anche che musiche di autori sconosciuti conoscano un ingiusto oblio. Abbiamo ricevuto dalla Fondazione Guido d’Arezzo l’invito a registrare la musica del poco noto compositore Paolo Aretino, trascritta dal musicologo Rodobaldo Tibaldi: questa musica, che non ci era familiare, ci ha sorpresi. I responsori del 1544 (la più antica stampa conosciuta di responsori per la Settimana Santa!) e le lamentazioni di Paolo Aretino hanno un carattere grave, severo, essenziale. Eppure, questa polifonia, sotto un manto di cenere scura, arde: l’uso della dissonanza come immagine del dolore la rende potentemente espressiva. Le voci, soprattutto nei responsori, cantano assieme le stesse parole perché siano chiaramente intese, e questo canto sincronico coinvolge i cantanti in una solidale e toccante declamazione collettiva. La ricerca del suono avviene nell’ambito grave delle voci di tenori, baritoni e bassi, bronzeo e scuro come le tenebre e il tempo di Passione che li hanno ispirati. Siamo felici di aver restituito in suono musiche dimenticate: la buona accoglienza della registrazione si deve in gran parte alla qualità della musica.

La musica è sempre contemporanea, perché è arte del tempo. Ogni interpretazione vive e fa vivere l’opera d’arte nell’oggi. Nel contempo, un’opera nasce nella storia e nella mente di un compositore che non è estraneo al vivere e al sentire del suo tempo. Talvolta si incontrano, nell’approccio alla musica antica, due posizioni antitetiche, con una serie di sfumature intermedie: l’interpretazione ideologicamente autoreferenziale che trasforma le ipotesi in dogmi e quella di segno opposto, che prescinde dalla storia ed estrapola l’opera dal suo mondo, spesso stravolgendone il linguaggio. Che cosa pensi a riguardo?

Variabilità, relatività e adattabilità sono principi che dovrebbero auspicabilmente informare il nostro approccio all’esecuzione della ‘musica antica’. Ricercare la performance ‘ideale’ o ‘ottimale’, o cercare di emularla è un tentativo vano, soprattutto per un repertorio quale la polifonia tra XV e XVI secolo, un’epoca nella quale la musica aveva una destinazione polivoca e condizionata dalle risorse strumentali e vocali di volta in volta disponibili nella sede nella quale veniva eseguita. In buona sostanza, gli antichi facevano con quel che avevano, adattando le esecuzioni alle disponibilità d’organico, a sua volta condizionato dalle risorse economiche destinate alle cappelle musicali. L’importante è che le nostre scelte attuali siano sorrette da argomentazioni solide, da una ricerca intellettualmente onesta, piuttosto che dalla volontà di lusingare il pubblico. Con la coscienza che l’interprete debba stare al servizio della musica, piuttosto che il contrario.

Diceva un mio insegnante che i suoni del passato sono irrimediabilmente perduti e ciò che noi riusciamo a cogliere di quel mondo è solo una minima parte di ciò che è stato. Come possiamo oggi confrontarci con la vocalità di un tempo lontano secoli o millenni da noi?

È vero, i nostri tentativi di ricostruire le presunte modalità della rappresentazione acustica della musica non potranno mai proporre situazioni di ‘autenticità’. Si tratta di un terreno ostile, mobile, difficile da mettere a fuoco. L’evento sonoro, soggetto alla diacronicità, è di per sé effimero, e perciò difficilmente ricostruibile e descrivibile. Manca l’elemento più importante, ossia il suono prodotto dalla voce e dall’arte dei cantori. Le testimonianze che descrivono le esecuzioni e le loro modalità di svolgimento sono scarse, perlopiù vaghe e tendono a celebrare genericamente la soavità delle musiche e la perizia degli interpreti senza fornire dettagli rilevanti. Quasi mai vengono specificati l’oggetto e le modalità dell’esecuzione. In un’epoca di fervido consumo di musiche spesso composte per specifiche occasioni, le stesse venivano rapidamente abbandonate; ma la ‘volatilità’ della musica si doveva certo anche alla sua produzione estemporanea, che non lasciava traccia scritta. Anche le musiche a noi giunte non rappresentano che una minima parte di un vasto paesaggio sonoro fatto di improvvisazioni, di creazioni estemporanee, di ‘contrappunto alla mente’. Un strada che potremmo percorrere è anche quella del recupero delle antiche tecniche di improvvisazione del contrappunto, che alcuni trattati descrivono nelle loro linee più essenziali.

È trascorso poco più di un secolo da quando la tecnologia ha iniziato a fornirci la possibilità di poter ascoltare una registrazione sonora di un’esecuzione vocale. L’era del fonografo prima e della masterizzazione poi ha stravolto il nostro approccio alla musica. Se prima ogni evento viveva solo nella memoria dell’ascoltatore, oggi possiamo ascoltare e riascoltare all’infinito esecuzioni che sono il frutto spesso di un lavoro di montaggio (che è quanto avviene nelle incisioni discografiche) totalmente nuovo rispetto al passato. Cosa pensi a riguardo? 

Per quanto il disco sia ormai un oggetto vetusto, persino difficile da utilizzare attraverso i sempre meno diffusi mezzi di riproduzione, ogni complesso vocale o strumentale si impegna nel produrre nuove registrazioni, peraltro facilmente raggiungibili sulle piattaforme più popolari. Le risorse della tecnologia digitale agevolano la creazione di prodotti di elevata qualità, ma nulla può sostituire il simbiotico rapporto con il pubblico nelle esecuzioni dal vivo. Interpreti e pubblico ne hanno avuta piena coscienza al tempo della pandemia, quando si è cercato ogni surrogato audio o video dell’evento concertistico. Piuttosto che lo standard della perfetta esecuzione su disco, preferisco la mobile e imperfetta esecuzione in concerto, che è sempre frutto della diversa miscela di umori degli interpreti e del rapporto con la disposizione acustica del luogo e con la particolare composizione del pubblico.

Un’ultima domanda riguarda i tuoi progetti futuri: a cosa stai lavorando, magari in vista dei trent’anni di Odhecaton?

Stiamo lavorando a più progetti, sia in vista dei centenari imminenti di Palestrina e Alessandro Scarlatti, tra i nostri autori favoriti, sia perché interessati alla produzione vocale di Girolamo Frescobaldi. Vorrei anche dedicare progetti alla polifonia veneziana, anche in riferimento alla mia attività di Bibliotecario del Conservatorio “Benedetto Marcello”. Ma come sempre, le idee e l’interesse per nuovi repertori corrono più del tempo disponibile a realizzarli.

Paolo Dal Col

Paolo Da Col

Paolo Da Col ha compiuto studi musicali al Conservatorio di Bologna e musicologici all’Università di Venezia e presso il Centre d’Études Supérieures de la Renaissance di Tours. È il bibliotecario del Conservatorio di Venezia. Sin da giovanissimo ha orientato i propri interessi al repertorio della musica rinascimentale e preclassica, unendo costantemente ricerca ed esecuzione. Ha fatto parte per oltre vent’anni di numerose formazioni vocali italiane e dal 1998 dirige l’ensemble vocale maschile Odhecaton, al quale è stato conferito nel 2018 il Premio Abbiati della critica musicale italiana. Con Odhecaton ha registrato una quindicina di dischi che hanno ricevuto i maggiori riconoscimenti, tra i quali il Grand prix international de l’Académie du disque lyrique, 5 diapason d’or, 2 diapason d’or de l’année, cd of the Year (Goldberg), Editor’s choice (Gramophone). Ha diretto con Luigi Ferdinando Tagliavini e dirige la rivista L’Organo e ha collaborato in qualità di critico musicale con varie riviste specializzate, ha diretto il catalogo di musica dell’editore Arnaldo Forni di Bologna, è curatore di edizioni di musica strumentale e vocale, autore di cataloghi di fondi musicali e di saggi sulla storia della vocalità. Collabora all’edizione critica delle opere di C. Gesualdo da Venosa e G. Tartini.

Quella voce che giunge dal passato

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Denis Silano

Mons. Denis Silano (1977), presbitero del clero vercellese, ha studiato organo, direzione di coro, composizione corale, canto gregoriano e musicologia. Ha curato l’edizione moderna di Harmonia super vespertinos psalmos… sex vocibus di O. Colombano (Venezia, 1579). Ha inciso, in veste di direttore e curatore editoriale, per Brilliant Classics (Colombano, 2018; Centorio, 2020) ed Elegia (Centorio-Heredia, 2019), sempre in prima incisione mondiale. Particolarmente interessato alla musica antica (soprattutto sacra) e agli aspetti editoriali ed esecutivi ad essa legati, ha pubblicato studi e musiche proprie presso Vox Antiqua (CH), Rugginenti (Milano) e Edizioni Paoline (Roma). Suoi contributi storico-musicologici sono apparsi in riviste e miscellanee specialistiche. È Maestro di Cappella della Cattedrale di Vercelli e responsabile della Scuola Diocesana di Musica Sacra della stessa arcidiocesi. E-mail: denis.silano01@universitadipavia.it
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