Non è affatto semplice parlare di Armenia e di armeni.
Come con tutti i popoli presi a pugni dalla Storia, si oscilla sempre tra un certo timore reverenziale, con il rischio di cadere nel facilmente retorico, nel compassionevole.
In aggiunta, non è per niente facile voler davvero capire qualcosa di un popolo in appena una settimana di viaggio, e ciò che ne esce è sempre un miscuglio tra aspettative, sentimenti, e un occhio “turistico” che mai come in questo caso non si può per nulla scindere dalla storia ancora così sentita, ancora così fresca. Quando sei stretto tra vicini così ingombranti (la Turchia, l’Iran, l’Azerbaijan con cui si trascina un conflitto oramai da più di vent’anni), non hai molta scelta: o soccombi, o sviluppi una dignità che ti permette di mantenere un equilibrio, seppur precario, tra vicende più grandi di te.
Gli armeni sono stati più volte sul punto di soccombere, di essere cancellati dalle carte geografiche. E se ne esci, ne sopravvivi, per forza di cosa tutto diventa identità, tutto è significato, tutto è testimonianza della tua esistenza, della tua storia.
E per noi che pratichiamo la coralità c’è una bella storia da raccontare!
Al primo occhio frettoloso Yerevan non appare come una città in cui la musica corale possa occupare un posto rilevante nella cultura nazionale. Ma per chi, come me, conosce gli ‘Armenian Little Singers’, sa che non è così. Caotica per quanto affascinante, ricca di storia ed emozioni come poche, culla della civiltà cristiana, Yerevan è capace di mostrare ad un più attento esame alcune gemme corali di notevole caratura. La prima: più volte mi sono chiesto quale spinta, quale amore possa motivare il suo direttore, Tigran Hekekyan, a dedicare buona parte della sua esistenza a questo incredibile coro. Dal mio privilegiato punto di osservazione (ho trascorso gomito a gomito alcuni giorni con lui) posso dire che quello che fa non è molto distante dall’altare dell’immolazione. Tigran è capace di gestire due telefonate contemporaneamente, con due apparecchi che alterna ora ad un orecchio ora all’altro. E mentre lo fa, riesce anche a rispondere alle mie domande o a guidare (anche contromano seguendo un’ambulanza) nel traffico impossibile della capitale. La seconda: il suo coro. Gli Armenian Little Singers sono più di un coro, sono principalmente una famiglia che adora il suo maestro. Tigran è severo nel condurre le prove, vuole l’assoluta precisione ritmica e di suono ma poi è capace di rivolgersi alle ragazze (e ai due ragazzi) come il più amorevole dei padri si rivolge al proprio figlio.
Quindi è facile che in un substrato così fertile siano fiorite attività eccellenti legate alla coralità. Una di queste è il Concorso Corale Internazionale, giunto quest’anno alla quarta edizione e dedicato a Padre Komitas, nato Soghomon Gevorki Soghomonyan, in armeno Սողոմոն Գևորքի Սողոմոնյան) il 26 settembre 1869 (secondo il calendario gregoriano l’8 ottobre 1869) e morto il 22 ottobre 1935 il quale è stato religioso, compositore, musicista e musicologo come anche considerato il padre della moderna musica armena. Il concorso iniziato prima della pandemia era inserito nei festeggiamenti in onore del 150° anniversario della sua nascita. Vi hanno preso parte, nel primo step, 27 compositori provenienti da tutto il mondo. Le partiture dovevano essere dedicate agli Armenian Little Singers (quindi a voci pari, SSA o SSAA). La giuria preliminare, composta per l’occasione da Oscar Escalada (Argentina), Jennifer Tham (Singapore), Andrea Angelini (Italia), Damijan Močnik (Slovenia), Arthur Aharonian (Francia), Vahram Sargsyan (Canada), Davit Haladjian (Svizzera) e Tigran Hekekyan (Armenia), ha selezionato 3 brani per la fase finale che si è svolta quasi due anni dopo, a causa delle restrizioni covid. Con grande determinazione si è infine giunti alla fase finale il 18 Ottobre 2021. Durante questa prova, disputata nel corso di un magnifico concerto, gli Armenian Little Singers hanno eseguito i tre brani finali, davanti alla giuria composta, questa volta, dal sottoscritto, da David Haladjian (Svizzera), da Vagharshak Zakaryan, Ruben Asatryan, Yervand Yerkanyan, Grigor Danielyan, David Zakaryan e Tigran Hekekyan, tutti dall’Armenia. Alla fine, all’unanimità, sono stati decretati i seguenti risultati: primo premio a Sevan Gharibyan (Armenia) per il brano ‘Nazan-Nabiko’, secondo premio a Sarah Shoham (Israele) per il brano ‘Waiting at the Window’ e terzo premio a Mel McIntyre (Inghilterra) per il brano ‘A Railway Carriage’.
Non si può capire completamente questo Paese, senza rendere omaggio al Tsitsernakaberd, il memoriale del genocidio armeno. Ed è qui che siamo andati il giorno dopo: io con un approccio forse più storico, Tigran con il dolore nell’anima. Si tratta di un edificio enorme ed impressionante all’interno del quale è possibile posare fiori attorno ad un fuoco che arde continuamente. Accanto ad esso si possono vedere due pilastri che simboleggiano l’Armenia occidentale (attualmente nel territorio della Turchia) e l’Armenia orientale. La notte del 24 aprile 1915 iniziava l’orrendo e sistematico sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano da parte dei turchi musulmani. In un solo mese, più di mille intellettuali, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al Parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada. Nelle marce della morte, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento. Alla fine, gli armeni cristiani massacrati furono circa un milione e mezzo. La visita è molto commovente e, per quanto mi riguarda, ha rappresentato il vero punto di svolta per capire la determinazione che questo popolo usa in tutto ciò che fa, compreso la musica corale. Fuori sulla grande spianata da cui volge il mio sguardo verso Nord, verso la cima del Monte Ararat, un vento teso sembra impregnato di dolcissimi suoni: Tigran allora mi spiega che poco più in là c’è il Giardino dei Giusti e io allora capisco sino in fondo che le belle persone cantano sempre, col cuore.