Voglio essere certificata!
Con questa battuta una mia amica direttrice di coro mi palesava il suo sentirsi inadeguata – pur avendo molta esperienza alle spalle – perché le manca il titolo di studio accademico. Il confronto che ne è scaturito, anche se mantenuto su toni ironici, è stato l’occasione per ragionare sul rapporto tra bottega (intesa come luogo dove si impara facendo e guardando l’esempio di altri, ancora prima che studiando la teoria) e accademia (intesa come luogo dove si impara con supporti teorici solidi, si studia la partitura “a tavolino” la composizione e non solo quello). Posto che le migliori scuole (nel senso antico e vero della parola) sono quelle che fanno vivere all’allievo con profondità sia la dimensione speculativa che quella pragmatica, è innegabile osservare come non tutti i conservatori, attualmente rispecchino il principio del fare. A molti di noi sarà capitato di conoscere musicisti che completano il corso di studi in direzione di coro ma non hanno mai diretto un gruppo vocale, capaci di analizzare e comporre un mottetto nello stile di Palestrina ma in difficoltà davanti all’atto finale, quello cioè che serve a trasformare la musica pensata/scritta in musica ascoltata.
Quanti di noi – di contro – non hanno mai pensato che quel pallino che trasforma la emme di Milano in emme di Maestro, spetti solo a chi ha il ‘certificato’ di cui parlava la mia amica giorni fa? Quel titolo, insomma viene guadagnato anche con la pratica, o è appannaggio solo di chi ha un diploma alias laurea?
Ne ho discusso con tre direttori di grande esperienza, rispettivamente Ilaria Poldi, Mauro Marchetti e Gea Garatti, ben consapevole che questa nostra chiacchierata non esaurirà mai la complessità delle tematiche trattate, ma può e vuole essere un invito a riflettere sulle possibilità di formazione per un aspirante direttore di coro.
Ilaria Poldi sottolinea come sia importantissimo cominciare ab origine, quindi da corista, per capire le dinamiche e sperimentare in prima persona il processo che trasforma la nota scritta in nota cantata. Successivamente, indispensabile è lo studio accademico e l’approfondimento analitico della composizione; in conservatorio si può imparare lo studio preparatorio di ogni partitura, processo indispensabile per capire i meccanismi che ci sono dietro le scelte compositive di un autore e ottimizzare le prove; inoltre è molto importante lo studio del repertorio e la sua attualizzazione in chiave contemporanea, specie per i cori giovanili e/o di voci bianche; in alcuni corsi di studio accademici c’è troppa distanza anche stilistica tra quello che si studia e quello che i ragazzi o i bambini sono in grado di eseguire. Esistono repertori utilissimi per i nuovi direttori che sono un giusto compromesso tra le esigenze di un linguaggio contemporaneo ma nello stesso tempo poggiano su solide basi, altrimenti si abbasserebbe il livello qualitativo. Assolutamente indispensabili, inoltre, lo studio della vocalità e della gestualità.
Mauro Marchetti fa notare come in alcuni conservatori spesso uno studente di direzione di coro non possa sperimentare – a meno che non provenga da esperienze pregresse – la direzione ‘sul campo’, perché non tutti gli istituti hanno la possibilità di fornire un coro-laboratorio, indispensabile per lo studio del gesto e della concertazione. Così gli aspiranti maestri ‘certificati’ arrivano – in alcuni casi – alla tanto agognata laurea, ma senza aver mai fatto esperienza diretta di cosa il coro è. Ma – ancora più grave – Marchetti rileva come siamo ancora lontani dall’avere come nazione una nostra cultura corale capillarmente diffusa e di qualità. I grandi nomi di compositori italiani, dopo il periodo classico hanno ritenuto secondario il dedicarsi al mondo corale. Solo negli ultimi anni questa tendenza sembra ormai mutata, ma se al giorno d’oggi possiamo – anche grazie alle nuove tecnologie e ai media – conoscere repertori una volta difficilmente raggiungibili, rimane come un vuoto nella produzione d’autore dei nostri grandi del passato più recente. Concordiamo con il M° Marchetti nel notare come il mondo compositivo corale contemporaneo sia molto ricco, ma spesso si basi sul volontariato; la figura del compositore come mestiere è ancora relegata ad altri ambiti.
Spesso si sentono opinioni che – in sintesi – vedono il direttore di coro come un direttore d’orchestra che non ce l’ha fatta.
Di questo abbiamo parlato con Gea Garatti, che da 30 anni opera all’interno delle fondazioni lirico-sinfoniche come maestro del coro. Per lei è importante – una volta formati i capisaldi – che lo studente di musica corale capisca verso quale ambito indirizzare la propria formazione: «Esistono molti tipi di coro, ognuno con esigenze di vocalità, concertazione, stile, diversi». E il Conservatorio è utile per garantire un percorso che dia una base solida, ma non basta. Bisogna che ogni direttore poi vada ad approfondire l’ambito a lui più congeniale, possibilmente frequentando uno o più maestri di comprovata esperienza nel settore o repertorio che si intende abbracciare. Un aspetto fondamentale dovrà essere il potenziamento delle capacità di ascolto, intese anche in senso generale, come quelle capacità che portano il maestro ad indirizzare il proprio gruppo verso il raffinamento delle qualità che più lo caratterizzano. Nel passato, in Italia, la formazione era, attraverso i programmi, limitata alla musica antica, mottettistica e madrigalistica, mentre bisognerebbe dopo un pur necessario passaggio dalle regole del contrappunto, spaziare nel vasto repertorio della coralità dal barocco al contemporaneo. Un capitolo importante, inoltre, è lo studio della gestualità; quella del Direttore di Coro deve essere in parte condivisa con quella del direttore d’orchestra, ma ha bisogno di esaltarsi nella comunicazione specifica, legata al mondo vocale, delle sfumature e del fraseggio, dello stile e dell’intonazione: caratteristiche gestuali specifiche che cambiano in modo sostanziale rispetto a quelle del mondo strumentale e che pongono il direttore del coro e quello d’orchestra su piani semmai paralleli, senza che uno prevarichi sull’altro. Molti direttori d’orchestra che hanno “bypassato” la formazione corale, magari saltando anche l’esperienza diretta come cantori, potrebbero avere difficoltà nell’accostarsi a un brano a cappella. Saprebbero cioè benissimo dirigerlo, condurlo, ma forse mancherebbe loro quell’approccio basato sull’esperienza del far coro/cantare che renderebbe il brano più vivo e palpitante. Come rilevano molti, alcuni Conservatori – in alcuni casi – stentano a stare al passo con la contemporaneità, vincolati come sono dalla burocrazia e dai programmi ministeriali; questi li preservano, se vogliamo, dal cedere verso mode effimere, ma da un altro lato li depauperano un po’ di arricchimenti possibili. Ad ogni modo, per ottenere un titolo di studio riconosciuto a livello ministeriale non ci sono altre vie (fa eccezione il PIMS, come dirò tra poco).
Per offrire dei programmi più flessibili ma senza perdere di vista l’approfondimento e lo studio tradizionale, sono sorte in tempi recenti diverse scuole non statali, alcune di altissimo livello e professionalità, nelle quali è possibile studiare anche altro rispetto ai programmi ufficiali del ministero, pur non ottenendo un titolo di studio equiparato, il fatidico certificato di cui parlavamo all’inizio. Vediamone alcune, da nord a sud:
La “Milano Choral Academy” nella sua presentazione online risponde al quesito (retorico) da me posto come titolo. «Direttori non si nasce, lo si diventa, nel tempo e con lo studio»; nel suo percorso si avvale della presenza di alcuni fra i più importanti professionisti che operano nel panorama nazionale e internazionale e di eccellenti cori laboratorio, fra i quali l’Ars Cantica Choir & Consort.
L’ “Accademia Righele”, con sede in Veneto, appare molto attenta ai nuovi media e alle nuove istanze che la contemporaneità pone a chi studia direzione corale oggi. Molto interessanti i corsi di preparatore vocale per coro, un ruolo che va ad affiancarsi a quello del direttore come necessario complemento per lo sviluppo della vocalità della formazione corale.
La “AERCO Academy” ha sede a Parma, e nella sua presentazione rende ben chiaro il concetto di allargamento delle tematiche, quando accanto a quelle tradizionali come il cantare, dirigere, comporre, aggiunge la formazione scolastica (un settore che ci appare sempre molto vitale) e il management; il moderno dialoga con l’antico: ne è una prova la grande importanza data alla Scuola Permanente di Canto Gregoriano.
La “Scuola Superiore per Direttori di coro della Fondazione Guido D’Arezzo” vanta un grande passato; è stata una delle prime a organizzare corsi al di fuori dagli ambiti istituzionali, offre un percorso triennale, un biennio di perfezionamento e altre iniziative, nella città toscana da sempre punto di riferimento per i cori. Tra i corsi, dizione per il canto, forme di poesia per musica, tecniche di consapevolezza corporea.
Al Sud segnaliamo L’Accademia Direttori di Coro, che ha sede in Sicilia e punta su un approccio di tipo laboratoriale (la bottega di cui si parlava prima) organizzando corsi con pochi partecipanti per classe; accanto alle discipline tradizionali si trovano approfondimenti sperimentali come la gestione delle dinamiche interpersonali in ambito artistico o il metodo reticolare non idiomatico elaborato dal M° Enzo Marino.
Tra le possibilità di studio non si può tralasciare di menzionare il progetto didattico del PIMS, che recentemente ha avuto la possibilità di equiparare i suoi titoli a quelli statali. Un giusto riconoscimento per un istituto fondato nel 1910 da Pio X, che dà grande importanza al canto gregoriano e alla polifonia sacra, accanto allo studio della composizione e di tutto quello che concerne la direzione.
Concludendo… cosa consigliare a chi voglia avvicinarsi alla direzione corale? Insomma: «Maestri si nasce o si diventa»? Innegabile considerare come la maggior parte di noi abbia cominciato a bottega, per poi andare in accademia; più raro il secondo caso. In genere un musicista si appassiona alla direzione corale grazie ad esperienze fatte magari nel proprio gruppo scolastico o in parrocchia e poi decide di perfezionarsi e approfondire. Sono però (per fortuna) sempre più frequenti anche i casi contrari: musicisti che frequentano un corso accademico sentono l’esigenza di formare un coro diretto da loro, se già non ne avevano uno. Fino a quando un’unica scuola riuscirà ad operare una sintesi tra tutte le esigenze sopra citate, probabilmente l’approccio migliore sarà quello di integrare vari tipi di insegnamento, partendo comunque da una buona base di bottega, sia come corista che come direttore e approfondendo gli studi presso ambienti accademici. Quel pallino che – come dicevo sopra – trasforma una emme in maestro però non va visto come un feticcio o un punto d’arrivo.
Personalmente sono scettico quando mi trovo di fronte a persone che ostentano lontananza dagli studi accademici, ma devo anche ammettere che in passato e nel nostro presente ho conosciuto ottimi autodidatti e direttori che pur non provenendo da ambienti scolastici tradizionali riescono a portare avanti progetti culturali e musicali di rilievo. Tanto di ‘maestro’ a entrambi. I titoli accademici – pur non garantendo la bontà e la qualità di un direttore – spesso però fanno la differenza tra un appassionato e uno studioso; e in campo musicale la differenza spesso si sente eccome. Per fondare un coro o per dirigere non è richiesto un diploma in senso stretto. Ma diciamo anche che dirigere è una cosa, dirigere bene un’altra.
Concludo con una frase che ha due leggere sfumature a seconda di come la si imposti; vi invito a riflettere su quale delle due preferite:
“La passione è necessaria, l’approfondimento è indispensabile” oppure “L’approfondimento è indispensabile, la passione è necessaria”?
Ai maestri l’ardua sentenza.