L’incontro tra Parole e Musica – Parte Quarta
La parola a compositori e poeti
Siamo giunti all’ ultima tappa in cui ci siamo affacciati verso l’esplorazione dell’intenso e continuo rapporto tra le parole e la musica. Ci siamo soffermati su alcuni tra i principali mezzi comunicativi che dialogano nelle due forme espressive e il loro particolare intreccio nel corso del tempo. Chiudiamo ora questo ciclo dando voce a celebri compositori e letterati che nel corso della loro attività artistica si sono trovati ad analizzare proprio il rapporto tra testo e musica operando delle scelte artistiche e arrivando a precise e personali soluzioni.
Testo e Musica in continua ricerca di equilibrio
È noto che lo sviluppo autonomo del linguaggio musicale rispetto a quello poetico si è manifestato in modo particolare a partire dal 16° secolo aprendo da quel momento un dibattito acceso e stimolante. Lo stesso Monteverdi (Cremona, 1567 – Venezia, 1643) , che proclama e tende continuamente verso il principio che vede l’armonia serva dell’orazione, trova poi delle soluzioni che vedono la musica il mezzo prevalente e dirompente rispetto al testo: lo stesso Orfeo rappresenta un trionfo di arie, madrigali concertati, canzonette a ballo e madrigali monodici e corali, scelta precisa rispetto allo stile puramente recitativo prevalente nella Camerata fiorentina.
- A. Mozart (Salisburgo 1756 – Vienna 1791) ha espresso chiaramente e ripetutamente il suo pensiero circa il connubio tra parola e musica e particolarmente significativa risulta, a questo proposito la famosa lettera al padre che inviò nel 1781 affermando, a proposito del Ratto dal Serraglio:
«Io non so, ma in un’opera la poesia deve esser assolutamente la devota figlia della musica. Perché le opere comiche italiane piacciono sempre dappertutto? E anche con le miserie del testo? […] Perché tutta la musica domina e il resto si dimentica».
Sempre nella stessa lettera Mozart prosegue esprimendosi in questo modo:
«Molto più poi deve piacere un’opera dove il soggetto è lavorato bene e i versi sono scritti appositamente per la musica. Per il piacere di una rima non si mettono delle parole o delle strofe intere che guastano al compositore tutta la sua idea musicale senza aggiungere nulla perché, il nome di Dio, in un’opera teatrale, esse non hanno valore. […] Meglio di tutto è che un buon compositore che capisce il teatro ed è capace lui stesso di fare qualcosa di buono, è un poeta».
Nel corso poi di tutto l’Ottocento gli scontri tra operisti e librettisti furono continui e regolari: da una parte i compositori avanzavano la necessità di fare del testo poetico ciò che volevano, a seconda prima di tutto delle esigenze drammatico-musicali ma anche in base a circostanze storiche, sociali e culturali, e dall’altra i librettisti che mal sopportavano interventi esterni e, a loro modo di vedere, impattanti alle loro opere letterarie. Queste le parole a riguardo del compositore e direttore d’orchestra Pietro Mascagni (Livorno 1863 – Roma 1945):
«Rispettare le parole in modo che la musica non le abbia a sopraffare. È un sogno artistico che vorrei finalmente tradurre in atto, perché difficilmente mi si potrebbe offrire un’occasione più propizia. La musica e le parole dovrebbero mettere in rilievo a vicenda i loro pregi. E mi pare che si giungerebbe così ad applicare nella forma migliore, il precetto contenuto nel testamento di Rossini: semplicità di melodia e varietà di ritmo. Ma vi sono d’altra parte le esigenze dell’orchestrazione moderna, a cui non si può rinunziare; e la ricerca di equilibrio tra la semplicità del canto, sposato a parole così elevate, e la complessità dell’orchestra, potrebbero scoraggiare anche i più volenterosi».
Questo “sogno artistico” di Mascagni spesso è stato considerato inarrivabile e per definizione non raggiungibile. In questi termini si esprimeva ad esempio il musicista, teorico musicale e letterato francese Michel Paul Guy de Chabanon (Saint-Domingue 1730– Paris 1792):
«Cantare e parlare sono due modi di espressione delle voce tanto lontani che è impossibile crearne un terzo che appartenga a tutti e due e li riunisca in qualche modo».
Figura di letterato e musicista, Chabanon ha contribuito a definire “l’Opera” come genere musicale: la sua doppia identità infatti gli ha dato una prospettiva unica per esaminare i legami tra musica e linguaggio e sviluppare una filosofia di cui il suo lavoro è l’espressione.
Il celebre filosofo e scrittore Jean Jacques Rousseau (Ginevra 1712 – Ermenonville 1778) pensava di aver trovato il “terzo modo di espressione della voce” menzionato da Chabanon attraverso la forma del melologo, una combinazione di testo recitato con interventi strumentali: un esempio ottocentesco è il Lenore di Franz Liszt (Raiding, 1811 – Bayreuth, 1886) del 1858, melologo per voce recitante e pianoforte che presenta evidenti affinità con il contemporaneo Tristano e Isotta di Richard Wagner.
La scelta dei testi
La libertà di azione del musicista nei confronti del testo poetico è una necessità che torna ad esprimersi costantemente al punto tale da poter parlare non solo di rapporto fra “musica e poesia” quanto fra “compositori e poesia”.
Buona parte dei testi poetici sui quali compositori di vari periodi storici hanno lavorato non è stata dichiaratamente scritta per musica. Prendiamo l’esempio di Francesco Petrarca: le sue opere poetiche, che sappiamo bene non essere state scritte espressamente per essere musicate, sono poste costantemente in musica anche in epoche completamente diverse. Dai madrigalisti del ‘500 – ‘600 come Luca Marenzio, Gesualdo principe di Venosa, il già citato Claudio Monteverdi, a Franz Joseph Haydn nel Settecento, passando per compositori dell’Ottocento come Franz Schubert, Franz Liszt arrivando a compositori del Novecento come Ildebrando Pizzetti e compositori svedesi come Lars Johan Werle (1926 – 2001).
Il sommo poeta, Dante Alighieri (Firenze, 1265 – Ravenna 1321), è stato ed è ancora, fonte di ispirazione per diversi musicisti a partire dal 1500. Molteplici autori si sono ispirati ai testi danteschi trovando in particolare nella tragicità delle figure dell’Inferno interessanti elementi guida. Importante, a questo proposito è certamente soffermarsi sulla figura di Giuseppe Verdi (Le Roncole, 1813 – Milano, 1901): le fonti del suo teatro musicale si trovano in Francia, Inghilterra, Germania e Spagna amando comunque fra tutti, in modo particolare, il teatro di William Shakespeare (Stratford-upon-Avon, 1564 – Stratford-upon-Avon, 1616]) . L’Opera Aida, ad esempio, su libretto di Antonio Ghislanzoni (Lecco, 1824 – Caprino Bergamasco, 1893) , è basata su un soggetto originale dell’archeologo francese Auguste Mariette (Boulogne-sur-Mer, 1821 – Bulaq presso Il Cairo, 1881), primo direttore del Museo Egizio del Cairo.
Questo è quanto afferma Verdi nella lettera dell’agosto 1870 a Ghislanzoni, in relazione all’ Aida:
«so bene che ella mi dirà: E il verso, la rima, la strofa? Non so che dire, ma io, quando l’azione lo chiama abbandoneri subito ritmo, rima, strofa; farei dei versi sciolti per poter dire chiaro e netto tutto quello che l’azione esige. Purtroppo per il teatro […] è necessario qualche volta che poeti e compositori abbiano i talento di non fare né poesia né musica»
Ebbene, il nostro Cigno di Busseto, negli ultimi anni di carriera, riavvicinandosi al genere sacro compone, tra gli altri lavori anche le Laudi alla Vergine Maria il cui testo è tratto dai primi versi del XXXIII Canto del Paradiso (v. 1,21) di Dante. L’incipit è il seguente:
“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio”.
Le Laudi sono l’unico brano di Verdi che utilizza versi di un grande poeta nati per essere letti e non per essere intonati dal canto. La scrittura corale semplice, prevalentemente omoritmica e omofonica, con cadenze alla fine di ogni terzina, testimonia la volontà di Verdi di dare assoluta intelligibilità al testo dantesco. Inizialmente destinate a due voci di soprano e due di contralto a cappella, le Laudi sono generalmente eseguite dal coro femminile a quattro parti.
Non sempre i compositori sono partiti da testi poetici di grande levatura letteraria. Se L.v.Beethoven (Bonn, 16 1770 – Vienna, 1827) si è lasciato sempre e solo ispirare dalla grande letteratura scegliendo come sappiamo versi di Johan Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno, 1749 – Weimar, 1832) e Friederich Schiller (Marbach am Neckar, 1759 – Weimar, 1805), troviamo anche un Franz Schubert (Vienna, 1797 – Vienna, 1828) musicare sia testi di Goethe, Heinrich Heine (Düsseldorf, 1797 – Parigi, 1856) e Shakespeare che testi considerati mediocri (Die schöne Mullerin di Johan Wilhelm Müller – Dessau 1794 / Dessau 1827 – è comunemente considerato in questo modo) riuscendo però sempre a creare dei veri capolavori musicali.
Poeti come Theodore de Banville (Moulins, 1823 – Parigi, 1891), Charles Baudelaire (Parigi, 1821 – Parigi, 1867), Paul Verlaine (Metz, 1844 – Parigi, 1896), Stephane Mallarmé (Parigi, 1842 – Valvins, 1898) rientrano tra le scelte testuali di Claude Debussy (Saint-Germain-en-Laye, 1862 – Parigi, 1918), che ha sempre fatto proprio uno stile in cui parola e suono si fondono con estrema naturalezza. Tra tutti Verlaine resterà comunque per Debussy il poeta prediletto: più di venti i suoi testi messi in musica dal compositore francese Qui una celebre poesia di Verlaine musicata da Debussy.
Questa una celebre poesia di Verlaine musicata da Debussy:
Chiaro di luna
L’anima vostra è un paesaggio singolare
che ammaliando vanno maschere e bergamaschi,
suonando il liuto, e ballando, e pare
che siano tristi sotto quelle vesti fantastiche.
Benché cantando sempre sul tono minore
l’amore vincitore e la vita opportuna,
pure non credano alla loro gioia, e s’irrora
quella loro canzone di chiaro di luna.
Del calmo chiaro di luna bello e triste,
che fa sognare dentro gli alberi gli uccelli
e gli zampilli singhiozzare d’estasi,
gli alti zampilli in mezzo al marmo snelli.
Paul Verlaine, Poesie Le feste galanti/Les fêtes galantes. Traduzione di Luciana Frezza
La caratteristica principale di questa poesia rimane l’estrema musicalità che risulta comunque più percettibile nella versione originale grazie alle numerose rime interne o assonanze. Il testo presenta tanti aspetti cari a Verlaine e ricorrenti nel Simbolismo francese: il chiaro di luna (ripetuto due volte, a parte il titolo), il sogno, la musica, la fantasia, il chiaroscuro, la tristezza, il pianto. Ma, nello stesso tempo siamo di fronte ad una scena in cui le maschere danzano e suonano il liuto sotto un cielo carico di una luna attenta. Una curiosità sul vocabolo bergamaschi – bergamasques che ha sollevato diversi interrogativi, strettamente connessi con il problema delle fonti da cui Verlaine può averlo tratto. Anzitutto: è di genere femminile, nel qual caso significherebbe una danza; o è maschile, e indica le maliziose figure delle maschere italiane? Anche quest’ultima ipotesi sembrerebbe probabile, considerato che l’appellativo era usato in questo senso già prima di Verlaine. Shakespeare nel Sogno di una notte di mezza estate (atto V, scena I), lo adopera nell’una e nell’altra accezione. L’accordo masques-bergamasques, che dà il la alle Feste/Fêtes con una sontuosa rima interna, produce una quantità di associazioni complici: musica e farsa, balli e ballerini.
Debussy diventerà poi anche assiduo frequentatore dei versi di Stephane Mallarmé (Parigi, 1842 – Valvins, 1898), figura letteraria di spicco frequentata nell’ambito di colti incontri da salotto dove pittori, poeti, musicisti e filosofi si riunivano per discutere d’arte. L’opera più famosa di Mallarmè, l pomeriggio di un fauno (L’après-midi d’un faune), poema in 110 versi alessandrini che costituisce una pietra miliare nella storia del simbolismo nella letteratura francese, ha ispirato la celeberrima opera orchestrale di Claude Debussy, Prélude à l’après-midi d’un faune. Mallarmé, dopo aver ascoltato in casa dello stesso Debussy, il poema sinfonico ispirato al suo lavoro disse:
«Non mi aspettavo una cosa simile! Questa musica prolunga l’emozione del mio poema e ne descrive lo scenario più appassionatamente del colore».
Gabriele d’Annunzio (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1938) è stato un punto di riferimento letterario importante per i compositori italiani del suo periodo: Paolo Tosti (Ortona, 1846 – Roma 1916), Ottorino Respighi (Bologna, 1879 – Roma, 1936), l’italo-boemo Riccardo Mangiagalli (Strakonice, 1882 – Milano, 1949), Ildebrando Pizzetti (Parma, 1880 – Roma, 1968) , Alfredo Casella (Torino, 1883 – Roma, 1947) e non per ultimo Gian Francesco Malipiero (Venezia, 1882 – Treviso, 1973). Personaggio complesso Gabriele D’annunzio, la sua grande fantasia si espresse anche attraverso la capacità di creare neologismi potendolo definire una sorta di “pubblicitario” ante litteram. Sono tante infatti le parole create dal Poeta entrate nell’uso comune: Scudetto, Tramezzino, Vigili del Fuoco, Rinascente, Milite Ignoto… per dirne alcune. Il conterraneo musicista abruzzese Francesco Paolo Tosti (Ortona 1846 – Roma, 1916), fu forse il più assiduo nel repertorio da camera mettendo insieme un repertorio di ben 34 romanze su testi dannunziani. In particolare la poesia O falce di luna calante è un testo che ha sollecitato l’interpretazione di numerosi musicisti.
Presente nella raccolta “Canto Novo”, scritto quando l’autore aveva solo 19 anni, questa è la poesia:
O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento qual mèsse di sogni
ondeggia a ’l tuo mite chiarore qua giù!
Aneliti brevi di foglie
di fiori di flutti da ’l bosco
esalano a ’l mare: non canto non grido
non suono pe ’l vasto silenzio va.
Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme …
O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia a ’l tuo mite chiarore qua giù.
La parola ai poeti
Diamo la parola, uno fra tutti, al già più volte citato poeta e letterato Goethe che vedeva naturalmente nella musica un fattore secondario nei confronti del testo. La forma musicale doveva essere secondo lui monostrofica (una sola melodia per tutte le strofe poetiche) o al massimo, variata; la scansione, strettamente sillabica e prova o quasi di ripetizioni. Scopo primario della musica era di rivelare la melodia nascosta nelle pieghe della struttura ritmico-verbale del testo. Dice infatti Goethe in una lettera al compositore Carl Friederich Zalter (Berlino, 1758 – Berlino, 1832), suo compositore prediletto:
«[…] è questione di trasportare l’ascoltatore nello stato d’animo indicato dalla poesia; poi l’immaginazione, senza sapere bene come, vedrà le forme [musicali, n.d.r.] prendere corpo coerentemente col testo»
Chiudiamo con le parole di Paul Verlaine che in Art Poetique scrive:
«Musica prima di tutto… e tutto il resto è letteratura»
L’incontro tra Parole e Musica
L’incontro tra Parole e Musica
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