The Tallis Scholars_-Credit Hugo Glendinning
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Libera discussione con Peter Phillips, direttore dei Tallis Scholars L’importanza del testo nello stile polifonico rinascimentale sacro

È sempre un piacere confrontarsi con l’amico Peter Phillips, direttore dei Tallis Scholars, su questioni interpretative legate alla polifonia sacra, ambito nel quale il suo nome è riconosciuto a livello internazionale.

Peter, quanto ritieni importante il testo in una composizione polifonica sacra?

Bene, arriviamo così a un affascinante punto di riflessione. Qual è il peso delle parole nella polifonia? Naturalmente, hanno un ruolo significativo – nessuno desidererebbe cantare questa musica su un mero “la, la, la” – ma fino a che punto le parole sono essenziali per ciò che il compositore ha effettivamente scritto e, di conseguenza, per ciò che noi percepiamo? A mio avviso, l’approccio retorico risente ancora dell’influenza delle preoccupazioni estetiche del XIX secolo, che postulavano una traduzione musicale figurativa per ogni parola. In quel periodo, tanto i testi sacri quanto la musica acquisirono un impatto drammatico sconosciuto al XVI secolo. Supporre che l’intensità del word-painting sia l’unico mezzo con cui un compositore possa esprimere sentimenti profondi è un errore. Questo è particolarmente vero per i testi sacri, spesso volti a comunicare significati così profondi da sfuggire alla semplice espressione verbale; per essi, uno stile compositivo astratto o neutrale risulta spesso il più toccante.

Il XVI secolo fu un’epoca di intensi sconvolgimenti religiosi, in cui il significato dei testi sacri era cruciale. Ciò portò, alla fine, alla nascita di una nuova musica orientata alle parole, su entrambi i fronti della Riforma. Tuttavia, la maggior parte del repertorio eseguito dai Tallis Scholars – con l’eccezione dei mottetti penitenziali di Byrd – fu composta prima che tali questioni si radicassero, o reca un messaggio religioso senza abbandonare un idioma musicale essenziale. Nessuno può sostenere che il sublime mottetto di Tallis If ye love me miri a convertire il miscredente attraverso un’espressività letterale delle parole musicate.

Il punto critico è che la percezione generale della musica rinascimentale è pesantemente influenzata dalle opere della sua fase finale, quando cominciavano a farsi strada elementi barocchi. Chi pensa alla musica a cappella tende spesso a evocare madrigali o mottetti madrigalistici, familiarità acquisita dall’ascolto o dall’esecuzione di compositori tardivi che, come Purcell, hanno radici nello stile del tardo Rinascimento. Per coloro che vedono in questa musica l’intera rappresentazione della polifonia, il dibattito si riduce a poco: si applicano pratiche tratte dal repertorio successivo, riviste con una certa autoconsapevolezza per adattarle al periodo rinascimentale. Ma non è di questa musica sacra madrigalistica, che noi raramente eseguiamo, che sto parlando. Mi riferisco alla vasta maggioranza dei pezzi rinascimentali privi di anticipazioni barocche o di pre-eco delle “riforme” monteverdiane, orientate all’espressione verbale. Queste opere, non facilmente accessibili per l’orecchio moderno, non lo diventeranno mai se affrontate con una mentalità più adatta a Monteverdi e ai suoi successori.

Quali sono i legami profondi ed evidenti tra polifonia e matematica?

Il fulcro di questo repertorio risiede nella musica composta dalla scuola fiamminga prima del 1560 circa. La complessità matematica alla base delle opere di Ockeghem, Obrecht, Isaac, Josquin, Mouton, Willaert, Clemens e Gombert (per citare solo i nomi principali) rappresenta una sfida per i cori moderni. Questa complessità derivava dalla convinzione — oggi poco comune — che il modo più adeguato per lodare Dio fosse stupirlo con la propria erudizione. Un compositore della scuola fiamminga veniva valutato dai suoi pari non solo per l’espressività con cui musicava una parola o una frase, ma anche per la maestria con cui integrava sofisticati concetti matematici nelle sue composizioni. Non a caso alcune di queste musiche sono state definite “musica delle sfere”, poiché si credeva che Dio abitasse nelle sfere celesti, e un modo per cercare di comprenderlo era applicare la matematica — spesso di derivazione astrologica — alla creazione musicale. Quando questa combinazione riusciva, come nel canone del terzo Agnus Dei della Missa L’homme armé sexti toni di Josquin, si riteneva che l’ascoltatore si avvicinasse a Dio.

Tuttavia, non tutta la polifonia rinascimentale è permeata da complessi calcoli matematici. La formazione tradizionale di ogni compositore fiammingo includeva però esercizi che richiedevano soluzioni matematiche: dalla disposizione del canto gregoriano in un cantus firmus (spesso con relazioni matematiche tra le parti) alla scrittura di canoni intricati o all’elaborazione di punti imitativi. Anche nei brani più semplici, la polifonia resta intrinsecamente più impegnativa, dal punto di vista matematico, rispetto alle tecniche barocche del basso continuo e della linea solista. Sebbene alcune tecniche descritte siano più tipiche della musica tardo-medievale, è utile ricordare che i compositori del Rinascimento lavoravano con uno sguardo rivolto al passato, senza alcuna consapevolezza delle future evoluzioni stilistiche.

Un errore comune è trattare la musica di Clemens, che abbandonò i canoni mensurali (a differenza del contemporaneo Willaert), come un’anticipazione semplificata di Monteverdi. Considerare questa musica come un precursore delle riforme monteverdiane è un fraintendimento grave.

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Peter Phillips-Credit Hugo Glendinning scale

Tutto questo come si riflette nelle prove corali e nella prassi esecutiva?

Ho trascorso innumerevoli ore in prove corali in cui il direttore si concentrava ossessivamente sul significato delle parole: il loro contesto, la loro pronuncia e il modo migliore per esprimere il significato emotivo nella frase musicale. Ci veniva chiesto di annotare indicazioni come “sorridere di gioia”, “gridare”, “singhiozzare”. Tuttavia, questo approccio spesso non menzionava elementi fondamentali per l’esecuzione polifonica, come il buon legato, l’amalgama tra le voci, l’intonazione precisa e la chiarezza del contrappunto.

Esistono quindi due metodi distinti: uno si concentra sull’espressione drammatica del testo, l’altro sul suono corale puro. Il primo approccio, pur avendo una sua applicazione nella musica moderna, rischia di compromettere l’equilibrio e l’intonazione, qualità essenziali per la polifonia rinascimentale. Quest’ultima richiede un’esecuzione disciplinata, basata sul contrappunto e sul suono omogeneo, che rende superfluo un approccio eccessivamente teatrale.

C’è però, indubbiamente, una stretta relazione tra testo e musica nella polifonia rinascimentale!

Contrariamente a quanto si crede, poca musica rinascimentale può essere definita come “incentrata esclusivamente sul testo”. Anche nei capolavori più espressivi, come il Requiem a sei voci di Victoria o le Messe di Byrd, l’ambito sonoro rimane cruciale. Questi brani, pur trasmettendo una forte intensità emotiva, esigono una precisione polifonica che trascende l’elemento puramente testuale. L’approccio alle opere di Victoria, ad esempio, richiede una delicatezza estrema per mantenere la qualità sonora. Al contrario, compositori come Gesualdo, Wert o Rore portano il modello fiammingo agli estremi, deformando le linee musicali fino a rendere difficili o superflui il legato e la fusione tra le voci.

Peter Phillips

Quindi la prassi interpretativa diventa astrattismo o espressione verbale?

Il dibattito su quanto le parole influenzassero l’ispirazione dei compositori rinascimentali è complesso. Victoria, per esempio, si distingue per il suo profondo misticismo, evidente nella scelta dei testi e nella loro resa musicale. Tuttavia, altri compositori, come Palestrina, sembrano meno coinvolti emotivamente dai testi sacri. Nonostante ciò, le sue opere rivelano una perfezione tecnica e un impegno per la bellezza musicale pura, che trascendono la necessità di un legame immediato tra testo e musica.

Palestrina è spesso percepito come freddo, ma questa freddezza è solo apparente. Dietro di essa si cela una passione per la perfezione musicale che non richiede espressioni testuali esasperate. Lo stesso vale per molti compositori successivi, come Britten, la cui musica sembra inseparabile dal testo, ma che condividono la stessa meticolosa attenzione per la struttura musicale.

Da tutto ciò deriva la difficoltà dell’interpretazione moderna?

Uno dei motivi per cui la polifonia rinascimentale può risultare ostica è la mancanza di un evidente legame emotivo tra testo e musica. Mentre le composizioni successive si basano su una relazione più diretta, la polifonia richiede un approccio più contemplativo, in cui il testo diventa solo uno dei molteplici elementi che contribuiscono al risultato finale.

Questa peculiarità può disorientare gli esecutori moderni, soprattutto se provenienti da un repertorio incentrato sull’espressione verbale. Alcuni cercano di compensare con un’enfasi teatrale, ma questo approccio è spesso controproducente. La polifonia non si presta a dinamiche estreme o a interpretazioni eccessivamente drammatiche; richiede invece un’esecuzione equilibrata, che metta in risalto la bellezza astratta delle linee musicali e del contrappunto.

In conclusione, la polifonia rinascimentale, pur meno immediata dal punto di vista emotivo, offre una ricchezza sonora unica. Essa invita l’ascoltatore a un’esperienza contemplativa che trascende il significato letterale delle parole, raggiungendo una dimensione universale e senza tempo.

Grazie, Peter, a nome dei lettori di DIRIGO ai quali avrai certamente dato buoni spunti di riflessione. 

L’importanza del testo nello stile polifonico rinascimentale sacro

L’importanza del testo nello stile polifonico rinascimentale sacro

About Post Author

Andrea Angelini

Nato a Bologna, Andrea Angelini ha studiato pianoforte al Conservatorio di Rimini e Ferrara, dove si è brillantemente laureato. Successivamente ha conseguito la laurea specialistica in Musica Corale e Direzione di Coro al Conservatorio di Musica di Cesena. Ha studiato musica corale rinascimentale in Inghilterra e a Roma. È direttore artistico del gruppo professionale Musica Ficta Vocal Ensemble. Per molti anni, Andrea Angelini ha diretto concerti con il coro Carla Amori, in Italia e all'estero. Ha inoltre diretto, come direttore ospite, molti importanti gruppi corali. È stato membro della giuria in numerosi concorsi internazionali di coro in Italia, Europa e Asia. Dirige spesso seminari di musica corale in Italia e all'estero. (Ungheria, Malesia, Russia, Cina, Moldavia, Romania, Croazia, Indonesia). Angelini è anche direttore artistico del Concorso Corale Internazionale di Rimini, Concorso Corale Claudio Monteverdi, Festival e Concorso Corale Regina del Mare Adriatico e Festival Corale Liviu Borlan. È stato per 11 anni direttore editoriale dell'International Choral Bulletin (ICB), la rivista di dell'IFCM (International Federation for Choral Music) e, ora, di Dirigo, la rivista dell’ANDCI. Attualmente è Presidente dell'AERCO, Associazione Regionale dei Cori dell'Emilia-Romagna e insegna Direzione di Coro di Coro al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia.
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