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La Musica Liturgica di Palestrina nell’epoca della Controriforma

Poldi-Pezzoli-Cranach_bottega_Lutero
Ritratto di Martin Lutero
(Eisleben, 10 novembre 1483 – 18 febbraio 1546)
Bottega di Lucas Cranach il Vecchio , ca. 1529

In un’epoca di divisioni e scismi religiosi che si abbattono e lacerano la cristianità occidentale, anche la musica vi si trovò radicalmente coinvolta in virtù del suo ruolo peculiare all’interno della ritualità cultuale cattolica. Se la prima parte del XVI secolo fu fortemente caratterizzata dal moto separatista di protesta, in aperto dissenso con l’establishment romano e culminato con il primo atto formale compiuto da Martin Lutero (1483-1546) mediante l’affissione delle novantacinque tesi critiche alla porta della Cattedrale di Wittenberg, la seconda parte del secolo registrò una forte reazione dal mondo cattolico che si concretizzò nella convocazione del Concilio di Trento (1545-1563), durante il quale le numerose sessioni realizzate ebbero lo scopo preciso di rispondere punto su punto alle teorie riformiste. Nonostante la tematica principale del contendere fosse di natura spiccatamente teologica, anche l’atto liturgico fu oggetto di profonde riflessioni e, con esso, anche la musica sacra.

Ma andiamo con ordine.

Il termine “protestante” è generico, in quanto sappiamo essere parecchie le confessioni cristiane sorte prima e dopo la Riforma, in seno alle quali ogni chiesa ha sviluppato un proprio sistema liturgico, sostanzialmente autonomo ed indipendente; i temi disgreganti sono fondamentalmente due: la valenza sacramentale del battesimo e la presenza reale di Cristo all’interno dell’Eucaristia. Per tale ragione, in alcune chiese protestanti il rito eucaristico non viene considerato e, di conseguenza, neppure celebrato. Ne deriva che il posto principale del culto evangelico è costituito dalle letture bibliche e dal sermone, ossia dall’insegnamento della Parola a cura del Ministro; il tutto avviene abbandonando progressivamente la lingua latina migrando verso gli idiomi nazionali e modificando molti degli aspetti della liturgia cattolica, spesso non senza passaggi dolorosi e cruenti: “le chiese furono spogliate dei loro arredi, il culto dei santi, delle reliquie e della Madonna fu negato, la liturgia cattolica venne abbandonata. Lutero voleva una riforma e si ritrovò a gestire una rivoluzione, religiosa ma anche politica. Perché molti lessero nelle sue parole anche la volontà di sovvertire l’ordine sociale e le sue gerarchie. Insorsero allora, tra il 1521 e il 1523, i cavalieri, cioè la piccola nobiltà, ma vennero schiacciati dagli eserciti dei principi. Poi si ribellarono, tra il 1524 e il 1525, i contadini infiammati dalla predicazione di un ex allievo di Lutero, Thomas Müntzer1.

Viene quindi a modificarsi radicalmente il ruolo della musica nella nuova azione cultuale; infatti, “l’influsso della Riforma protestante sulla vita musicale tedesca non si riduce alla creazione di un nuovo repertorio poetico e musicale sacro che vada progressivamente a sostituire quello cattolico, latino e gregoriano, all’interno di un nuovo schema liturgico. È la funzione stessa della musica all’interno del rito (ma anche nella pratica devozionale privata) che viene modificata: per il cristiano che deve potersi rivolgere direttamente a Dio senza l’intermediazione ecclesiastica, la musica religiosa non può più essere un apparato rituale esterno da fruire, o subire, passivamente; essa deve costituire un tramite diretto e attivo. È proprio per questo stesso motivo che, nella concezione di Lutero, i testi religiosi che la musica veicola, così come l’intera liturgia, devono essere comprensibili a tutti. Da questi presupposti maturano gli esiti più caratteristici della Riforma in campo musicale: l’affermazione nell’ambito della liturgia del canto corale comunitario, che va a sostituire o ad affiancare l’esecuzione affidata al celebrante o al coro (quest’ultimo è eventualmente costituito da cantorie non professionali la cui istituzione va di pari passo al forte impulso dato alla diffusione della cultura musicale nelle scuole); la creazione di un repertorio poetico e musicale liturgico, tedesco e monodico, destinato al canto dei fedeli, denominato ’Kirchenlied’ e, in riferimento al suo aspetto propriamente musicale, “corale luterano”. Insieme al sermone, la pratica del canto comunitario e il Kirchenlied, che ne è il contenuto, costituiscono il pilastro della nuova liturgia riformata, sono potenti strumenti di evangelizzazione e di edificazione morale, di coesione della comunità, di contatto naturale e immediato tra il credente e Dio2.

Viene naturalmente da pensare che, dietro alle considerazioni sopracitate, vi sia non soltanto l’effetto di una “rivoluzione cultuale”, ma anche la sensazione di un deciso cambio di passo, in chiave moderna, della sperimentazione polifonica che dal Trecento in poi non aveva ancora trovato una sua maturità definitiva. Né erano ignorabili alcuni passaggi della riforma che non solo sarebbero stati sovrapponibili alla liturgia cattolica ma che, anzi, se intelligentemente adottati, avrebbero potuto portare un deciso rilancio della stessa musica liturgica (ad esempio il tema della partecipazione attiva); quest’ultimo aspetto il Concilio di Trento lo comprese perfettamente, attuando una seria riflessione durante gli ultimi due anni nelle sessioni XXII, XXIII e XV. In buona sostanza, “si faceva richiesta di eliminare dalle composizioni per il rito la presenza del contrappunto imitativo, al fine di rendere più intelligibile il testo sacro e non perdere la chiarezza del suo valore semantico3. Oltre a questa dichiarazione, furono affrontate anche altre questioni, quali l’opportunità o meno dell’uso delle lingue volgari, il concetto di “sacralità” delle celebrazioni seguita  dalla necessità di rimuovere da essa ogni traccia di profanità, l’uso talvolta improprio dell’organo e la formazione al canto gregoriano dei nuovi presbiteri.

Ad essere elemento divisivo, tuttavia, fu la richiesta di abolizione del contrappunto, dividendo non soltanto i padri conciliari ma anche i maestri di cappella dell’epoca, tra chi si adeguò a questo pronunciamento e chi, al contrario, proseguì nella sperimentazione dello stile polifonico: “le conseguenze immediate del complesso di queste iniziative furono scarse: si conservano le messe che Vincenzo Ruffo compose ‘con arte meravigliosa conforme al decreto del […] Concilio di Trento’ ed altre ‘ad ritum Concilii Mediolani’, …, e addirittura le ‘Missæ Boromeæ’ (1529): si rammenta una perduta messa cromatica di N. Vicentino, ispirata anch’essa da quelle norme. Più generalmente si coglie nell’arte polifonica sacra romana dell’ultimo trentennio una qualità di purificazione, di cristallizzazione stilistica, manieristica e grammaticale4.

Giovanni Pierluigi da Palestrina(Palestrina, 1525 - Roma, 2 febbraio 1594)
Giovanni Pierluigi da Palestrina
(Palestrina, 1525 – Roma, 2 febbraio 1594)

L’uomo sintesi fu indubbiamente Giovanni Pierluigi da Palestrina, in quanto il suo lavoro rappresentò una situazione di compromesso stilistico tra il contrappunto fiammingo e la nuova sensibilità accordale proiettata verso il futuro, in un passaggio quasi ormai completo tra la modalità e l’imminente gusto tonale; la sua musica è modello di simbiosi tra tradizione e modernità, fondendo insieme la predilezione ad un impianto melodico ancorato al canto gregoriano ad una polifonia che, pur dispiegandosi magistralmente in stile contrappuntistico, strizza l’occhio alla nuova sensibilità tonale. “Nell’universo musicale palestriniano il processo di sistematizzazione dell’impianto modale conserva da una parte il sapore dell’ascendenza gregoriana, dall’altra un particolare senso di distacco e modernizzazione nel risultato armonico. Il sistema degli otto modi, che esprimevano in origine una corrispondenza tra regioni di voce e gradi di espressività, subisce sostanzialmente un processo di stilizzazione, i cui tratti distintivi si riscontrano nell’uso predominante di una melodia cantabile che procede diatonicamente, …, con un risultato armonico in cui predomina l’uso delle triadi, …, creando una sonorità piena, rotonda, che predilige un organico a cinque o sei voci. A un primo ascolto, in Palestrina si rinviene quella proprietà di misura verticale che assolve alla comprensione del testo, ma pur sempre con un certo distacco emotivo; infatti, il senso delle parole non riesce sempre a vincere il confronto con la musica che ne cerca il suono con l’enfasi delle vocali aperte.5

Coro della Cappella Pontificia Sistina,diretta da Mons. Marcos Isola Pavan
Coro della Cappella Pontificia Sistina, diretta da Mons. Marcos Isola Pavan

Affermare che la produzione musicale di Palestrina sia gigantesca è quantomeno riduttivo, e si concentra quasi esclusivamente sul repertorio sacro: circa cento messe ed oltre cinquecento mottetti rappresentano la parte più corposa dell’opera omnia cui si aggiungono madrigali spirituali e profani. Lo stile utilizzato per le messe comprende ogni tipologia conosciuta nel periodo: dalla base di partenza del cantus firmus al Tenor, passando per le “Messe Parodia” ed a “canone”, fino ad arrivare a quelle di libera ispirazione, tra cui la celeberrima Missa Papæ Marcelli; a proposito di quest’ultima, venne a consolidarsi il mito palestriniano secondo il quale proprio attraverso questa composizione la polifonia si salvò dal “taglio” suggerito ed auspicato dal Concilio di Trento. Tale credenza venne diffusa in quanto contenuta all’interno di un Trattato scritto da Agostino Agazzari nel 1607: “da qui in avanti si ricorrerà a Palestrina in momenti di bisogno, che guardano al Cinquecento come al luogo della felicità musicale: chi si richiamerà a Palestrina mostrerà più semplicemente che cosa intende come elemento irrinunciabile della musica tout court, prima ancora di quella sacra: un fenomeno connesso all’uso della categoria di classicità che affiora ampiamente nelle disposizioni ottocentesche6.

Anche nei mottetti si denota una ricchezza di elementi ed una geniale freschezza, data anche da una parziale libertà dal vincolo testuale rispetto alle messe; perciò, è imponente la varietà e la fluidità di utilizzo del materiale sonoro. Inoltre, sono molto frequenti i casi nei quali a particolari parole o frasi vengano applicati modelli melodici in chiare figure retoriche e simboliche, che sublimano in modo ineccepibile la simbiosi tra testo e melodia: anche in questo senso, Palestrina è uomo-sintesi capace di collegare l’aspetto più puro del canto gregoriano con una prassi compositiva che, ancora oggi, è fonte sicura di inesauribile ispirazione per la maggior parte dei compositori di musica liturgica.

La Musica Liturgica di Palestrina nell’epoca della Controriforma

La Musica Liturgica di Palestrina nell’epoca della Controriforma

1 Roberto Roveda, “Nel nome di Dio” pubblicato su “Focus Storia”, nr. 133, Novembre 2017.

2Gianmario Merizzi, “La musica religiosa protestante”, da enciclopedia Treccani, pubblicato sul web https://www.treccani.it/enciclopedia/la-musica-religiosa-protestante_(Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco)/ fino tutto il 09 novembre 2024 ore 10:30.

3 Luigi Garbini, “Breve Storia della Musica Sacra”, Ed. Il Saggiatore, pag. 203.

4 Claudio Gallico, “L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento” in Storia della Musica Vol. 4, a cura della Società Italiana di Musicologia, Ed. EDT Torino, 1991, pagg 65-66.

5 Luigi Garbini, “Breve Storia della Musica Sacra”, Ed. Il Saggiatore, pagg. 214-215.

6Luigi Garbini, “Breve Storia della Musica Sacra”, Ed. Il Saggiatore, pagg. 216-217.

 

 

 

About Post Author

Enrico Vercesi

Enrico Vercesi nasce a Broni (PV), l’8 ottobre 1972. Si è formato presso l’Istituto Pontifico Ambrosiano di Musica Sacra. Ha insegnato Canto Gregoriano, Direzione di Coro e, in particolare, Musicologia Liturgica, in diversi corsi in Italia e ha pubblicato svariati articoli, in Italia e all’estero. Come compositore ha scritto numerose pagine di musica per la liturgia, due cantate e un unico oratorio. Dal 2018 è Maestro della Cappella Musicale della Basilica - Santuario Madonna della Guardia di Tortona ove dirige il Coro “San Luigi Orione”; è organista titolare della Parrocchia di Stradella (PV), insegna presso l'Accademia Musicale di “Città di Stradella” e collabora stabilmente con la Cattedrale di Tortona. È insegnante ai corsi di formazione per cantori e direttori di coro della diocesi di Tortona, unitamente a L. Dellacasa, Padre M. Ferraldeschi, ofm e al Vescovo, S.E. Mons. Vittorio Francesco Viola, ofm. Email: enrico.vercesi@gmail.com
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