Qualcuno ricorderà che nell’ultimo contributo di questa rubrica ci eravamo ripromessi di enucleare alcuni criteri che favorissero la partecipazione attiva, corroborati da alcune proposte operative: ci proviamo. Il concetto di partecipazione attiva non nasce di conseguenza al Concilio Vaticano II, ma ha radici precedenti di almeno un secolo; i movimenti riformisti formatisi dalla seconda metà del 1800 provocarono una nuova visuale del vivere pienamente il culto a Dio, principalmente sotto l’aspetto liturgico e teologico. Da qui derivarono altrettanti nuovi parametri di riferimento, contenuti a vario titolo nei seguenti documenti:
- Motu Proprio “Tra le Sollecitudini”, Pio X, 1903;
- Enciclica “Mediator Dei”, Pio XII, 1947;
- Enciclica “Musicæ Sacræ disciplina”, Pio XII, 1955;
- “Instructio de Musica Sacra et Sacra Liturgia”, Sacra Congregazione dei Riti, 1958;
- Costituzione “Sacrosanctum Concilium”, Paolo VI 1963;
- Istruzione “Musicam Sacram”, 1967;
- Chirografo “Mosso dal vivo desiderio”, Giovanni Paolo II 2003.
Se Pio X fu il primo a parlare espressamente della partecipazione attiva nella introduzione al Motu Proprio del 1903, con l’enciclica Mediator Dei il principio divenne più chiaro ed esplicito: “urge veramente che i fedeli assistano alle sacre cerimonie non come spettatori muti ed estranei, ma toccati nel profondo dalla bellezza della Liturgia”. Questo passaggio sembra essere in assoluto quello determinante, che diede vita ad una partecipazione meno intellettuale, di sicuro più sincera ed intensa, colma di una fede che forse oggi non riusciamo più ad esprimere appieno.
Mentre Musicæ Sacræ disciplina non sembrò occuparsi primariamente di questioni che potremmo definire “tecniche”, la successiva Musica Sacra et Sacra Liturgia in modo estremamente illuminato, affrontò il problema nello specifico, sottolineando che la piena partecipazione non è raggiungibile in modo automatico o casuale, bensì attraverso una formazione catechistica, liturgica e teologica. Inoltre, a proposito della Messa Solenne in Canto, furono proposti tre livelli, chiamati “gradi”, di intervento dei fedeli:
- a) Il primo grado quando tutti i fedeli cantano le risposte liturgiche;
- b) Il secondo grado quando essi cantano anche le parti dell’Ordinario della Messa;
- c) Il terzo grado finalmente si concretizza quando tutti i presenti sono talmente preparati nel canto gregoriano da poter cantare anche le parti del Proprio della Messa, soprattutto nelle comunità religiose e nei seminari.
Giunti ai giorni nostri, dopo che la Costituzione Sacrosanctum Concilium sdoganò definitivamente il concetto di partecipazione attiva e consapevole, la successiva Istruzione Musicam Sacram, ne approfondì i principi enunciati offrendo un contributo realizzativo ed operativo alla loro concretizzazione. Un importantissimo richiamo si trova al § 19 circa il servizio della Cappella Musicale o Schola Cantorum, in funzione del coinvolgimento dell’intera assemblea: “deve infatti curare l’esecuzione esatta delle parti sue proprie, secondo i vari generi di canto, e favorire la partecipazione attiva dei fedeli nel canto”. Ancora, MS si preoccupa di entrare nel dettaglio del ministero della Schola: “La «schola cantorum», tenendo conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo che: a) chiaramente appaia la sua natura: che essa cioè fa parte dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; b) sia facilitata l’esecuzione del suo ministero liturgico; c) sia assicurata a ciascuno dei suoi membri la comodità di partecipare alla Messa nel modo più pieno, cioè attraverso la partecipazione sacramentale”. Il corpo centrale dell’Istruzione risulta essere il vero e proprio programma operativo che chiarifica e determina la partecipazione del popolo per quanto riguarda l’aspetto musicale, prendendo spunto e riadattando l’ispirata intuizione avuta da Musica Sacra et Sacra Liturgia, basata sui già citati livelli.
Nel Chirografo Mosso dal vivo desiderio, di Giovanni Paolo II, infine, constatiamo un “salto” di circa quarant’anni da MS, periodo nel quale sono mutate alcune realtà e sensibilità, pur non avendo definitivamente ancora applicato in modo opportuno, completo e consapevole le indicazioni conciliari; di particolare rilevanza, sempre in continuità con i principi dettati da SC e da MS, il risalto dato ai compiti ministeriali in funzione della partecipazione attiva, al concetto di sacralità e alla necessità di compiere scelte davvero coerenti ed aderenti con i riti celebrati.
Dopo gli opportuni cenni storici, proviamo a fare qualche considerazione operativa partendo dalla Schola Cantorum, parte integrante dell’Assemblea e che, per tale ragione, inducono i documenti post-conciliari ad insistere sul fatto che la sua posizione sia visibile e non nascosta. È chiaro che l’armonizzazione degli interventi tra Schola e Assemblea rappresenta una questione talvolta problematica, equivoca, di non semplice realizzazione: è un obiettivo che ciascuno si deve porre con decisione e come scelta condivisa. Il secondo compito della Schola è quello di eseguire le sue parti proprie, quelle cioè nelle quali essa canta da sola senza il popolo; quest’ultimo è chiamato comunque ad una partecipazione attiva, sotto forma di ascolto, di assimilazione emotiva: “il coro dunque non sta di fronte a una comunità che lo ascolta come di fronte ad un pubblico che vuole gli si canti qualcosa, ma è egli stesso parte di questa comunità e canta per essa nel senso di una legittima rappresentanza”. Proprio per tale ragione, occorre la massima attenzione alle scelte dei testi e di conseguenza delle musiche, per far scaturire nel cuore di chi ne fruisce un sentimento spirituale che sia retto, pio ed aderente al senso teologico del momento liturgico; in buona sostanza, non una scelta casuale o banalmente ispirata da gusti personali o esteticità fine a sé stessa. Occorre al contrario optare per un repertorio di tipo rituale, che salvaguardi i valori della vera arte musicale, della bontà e santità di forme, e che allo stesso modo, sia il più possibile aderente al rito che si sta celebrando in quel determinato contesto. Res e Signum, se opportunamente integrati e connessi tra loro generano ulteriori rapporti, diretti e specifici.
- con la Parola: più la musica scaturisce dalla parola tanto più sarà liturgica;
- con l’Azione liturgica: da qui il valore rituale;
- con il Tempo liturgico: si evince da ciò la pertinenza.
In mancanza della Schola, oppure anche a supporto della stessa, troviamo il ministero del Cantore, che è la figura di principale interfaccia con l’assemblea, l’individuo che può determinare con la sua azione la partecipazione o meno al canto del popolo presente. Presupponendo una buona capacità musicale di base ed una adeguata formazione liturgica, potremmo definire quali suoi compiti peculiari sostanzialmente i seguenti:
- a) Sostenere l’assemblea con il canto in modo sicuro ma discreto, deciso ma non sovrastante;
- b) Dirigere la stessa assemblea durante il canto, non con lo stesso gesto del direttore di coro, bensì con estrema essenzialità e con elegante discrezione;
- c) Insegnare i canti all’assemblea, mettendo in atto strategie serie e realistiche, continuate nel tempo con pazienza e senza sfiducia o tentennamenti d’animo;
- d) Infine, il cantore può programmare e scegliere i canti, sempre con l’attenzione alla salvaguardia dei criteri di funzionalità liturgica e della vera arte musicale. Trattandosi di brani per l’assemblea, si suppone una certa semplicità musicale, senza scivolare verso il basso livello con musiche di valore discutibile ed evitando la ripetizione sistematica degli stessi canti domenica dopo domenica al solo scopo effimero e fuorviante del coinvolgimento del popolo a tutti i costi.
Anche gli strumentisti e soprattutto l’Organista incidono non poco sulla partecipazione attiva dell’assemblea, svolgendo anch’essi un vero e proprio ministero liturgico e divenendo attori a tutti gli effetti. L’organista in particolare non deve esclusivamente saper suonare, ma deve essere in grado di inserirsi nell’azione liturgica in modo puntuale; forte di una fede sincera e consapevole, egli dovrà possedere sia la formazione musicale che quella liturgica, che gli permetteranno di svolgere il ministero in modo appropriato e completo, appassionato e competente. Un bravo organista è una risorsa davvero enorme per la Chiesa in cui presta servizio, in quanto se è grande la responsabilità di tale incarico, altrettanto importante l’effetto che la sua azione produrrà sui fedeli.
Tranne che in Quaresima, periodo nel quale il Cerimoniale Episcoporum insegna che il suono è consentito esclusivamente per accompagnare il canto, l’organo deve sostenere il canto della Schola o dell’Assemblea e suonare da solo nei momenti opportunamente identificati, ad esempio preludiando e/o postludiando prima e dopo il canto, prima e dopo la celebrazione eucaristica per preparare e predisporre i fedeli al giusto clima spirituale o per accompagnarli al termine della Messa; anche in questo caso una corretta regia liturgico-musicale potrà contribuire ad organizzare in modo ottimale gli interventi solistici dell’organo. Ben più complesso l’aspetto del sostegno del canto dell’Assemblea ove è necessaria molta saggezza e tanto “mestiere”, corroborato da alcuni espedienti correttivi che si acquisiscono attraverso l’esperienza: sapere dosare la sonorità dello strumento per potere essere davvero sostegno del popolo e non sovrastarlo, valutare la dinamica ambientale ed acustica per fare in modo di andare “a tempo” il più possibile, aggiustare le tonalità dei brani al fine di non costringere l’assemblea ad eseguire note impossibili, avere un buon accordo con il cantore guida, affinché l’opera di entrambi possa essere veramente un punto di riferimento sicuro al canto dei fedeli.
Dalle riflessioni brevemente proposte possiamo dunque affermare che la partecipazione attiva, più volte richiamata dagli insegnamenti ecclesiali, lungi dall’essere un indotto, sarà piena quando essa sarà interiore, adeguata, proporzionata e sollecitata dal giusto rapporto tra rito e segno; in questo senso si inseriscono le scelte di repertorio più opportune al conseguimento di questo obbiettivo, il tutto per la “gloria di Dio e la santificazione ed edificazione dei fedeli”.
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