Il compositore di oggi di fronte alla pagina rinascimentale
Mi è capitato più di una volta di assistere ad un concerto corale con programma interamente contemporaneo dedicato ai compositori più eseguiti (ed alla moda) degli ultimi anni. La sensazione d’immersione in armonie morbide e cangianti è senz’altro esaltante ed appagante e mi ha accompagnato a lungo, anche dopo il termine del concerto. Ma, al di là dell’esperienza di estesica, cos’altro ero riuscito a cogliere? Restava qualche traccia melodica tra i miei ricordi? Riuscivo a percepire delle forme musicali che andassero oltre l’abituale ABA? In altre parole: quanto questa musica aveva parlato non solo ai miei sensi ma anche alla mia mente di uomo e musicista?
Spesso queste domande ricevono – almeno da parte mia – delle risposte alquanto povere (e con rammarico!) nonostante si tratti di musica con delle interessanti intuizioni armoniche o melodiche che, tuttavia, stentano a prendere il volo e non s’innestano in un divenire trasformante quale è la musica.
Qualche esempio: chi di noi non ha ceduto all’utilizzo di un accordo in primo rivolto con nona aggiunta alla Lauridsen? O a qualche cluster più o meno denso alla Whitacre? Niente di male se lo abbiamo fatto, tuttavia non dobbiamo dimenticare che questi sono strumenti per poter dire altro, per raccontare una storia e non la storia stessa.
Il mestiere di compositore si costruisce con pazienza e conoscenza e non bastano certo doti improvvisate ed una collezione di situazioni armoniche per poter scrivere della musica che possa parlare e raccontare qualcosa di profondo. Da dove cominciare, dunque?
Partendo dall’assunto che per guardare al futuro è necessario avere consapevolezza del presente e conoscenza del passato, propongo di percorrere la stessa strada che i compositori del passato hanno sempre fatto: lo studio dei maestri della polifonia rinascimentale, per riconoscere quali fossero per loro gli elementi cardine della composizione. Monteverdi, Gesualdo, De Victoria, Byrd, Palestrina, Gabrieli, Tallis, Willaert, Brumel, Desprez… ognuno di loro avrebbe avuto molto da insegnarci se solo avessimo potuto avvicinarci al loro scrittoio e osservarli mentre componevano.
Tra i nomi altisonanti poc’anzi ricordati lasciamoci guidare da Josquin Desprez, nella speranza di poterlo celebrare degnamente in occasione dell’anniversario dei 500 anni dalla morte che ricorre proprio in questo 2021.
La prima partitura che apro è la Missa Gaudeamus (Liber Missarum I, Venezia 1502). Osservo la prima pagina e cerco di estrapolarne elementi utili:
definizione di un organico coerente e pienamente valorizzato in cui tutte le voci hanno piena autonomia e ricchezza melodica;
utilizzo di elementi che possano dare un carattere unitario alla composizione. In questo caso, l’incipit melodico costituisce il cantus firmus sul quale si basa l’intera messa. Questa melodia, continuamente ricorrente e variata, instaura un gioco di attese realizzate ed eluse nella mente dell’ascoltatore, senza dimenticare che si tratta di una melodia a lui nota in quanto tratta dal repertorio gregoriano;
conoscenza approfondita del principio dell’imitazione e delle varie specie di contrappunto;
gestione equilibrata dello spazio sonoro: le quattro voci e i bicinia (ove presenti) creano contrasti nell’estensione totale utilizzata;
Passo ad un’altra composizione per dedurre ulteriori interessanti caratteristiche. Apro quindi la partitura della famosa Missa Hercules Dux Ferrariae (Liber Missarum 2, pubblicata a Venezia nel 1505), mirabile omaggio al suo committente dal cui nome Josquin ricava le note del cantus firmus (Hercules Dux Ferrariae: re ut re ut re fa mi re).
le limitazioni sono uno stimolo alla creatività. Il tenor utilizzato è infatti tutto racchiuso in un intervallo di appena una quarta e composto da otto note di cui ben sei sono ripetizioni delle prime due; insomma, non ci sono certo le premesse per delle melodie cantabili. Eppure sono proprio queste limitazioni a far nascere un contrappunto fitto che, pur vivendo di vita propria, esalta la semplicità di questo apparentemente banale cantus firmus, dandogli una pienezza altrimenti inimmaginabile.
Uno spunto interessante può arrivare da un’analisi, anche sommaria, del Salmo 50 Miserere mei Deus, mottetto di notevole lunghezza suddiviso in tre parti. In ogni sezione i versetti del Salmo sono separati dall’invocazione ‘miserere mei Deus’ nell’intonazione gregoriana del III modo, ogni volta ad un grado più basso o più alto. Viene così definita una scala discendente nella prima pars del mottetto, una ascendente nella secunda pars e nuovamente una discendente (incompleta) nella tertia pars. L’insegnamento che ne posso ricavare è il seguente:
alla base di una composizione ci dev’essere un progetto per poter definire fin da subito quale potrà essere la forma complessiva del brano.
Il mottetto Ave Maria, virgo serena è un mirabile esempio di equilibrio tra contrappunto ed omoritmia in cui ogni parola del testo viene cesellata ed esaltata dallo scorrere musicale. L’incipit della composizione è caratterizzato da tre idee melodiche esposte in successione per imitazione di tutte le voci dall’alto verso il basso (dal superior al bassus); a seguire, degli episodi in bicinium portano con tutta naturalezza al ternario con l’omoritmia delle voci, proprio nel cuore della preghiera stessa. Ed è da quest’ultima sezione che possiamo trarre una fondamentale lezione:
dal testo nasce il gesto musicale, ovvero dev’essere curata l’adesione strettissima tra testo ed intenzione melodica o armonica (la musica sia serva dell’orazione, per dirla parafrasando Monteverdi).
Non è raro ascoltare partiture in cui Kyrie eleison sia gioioso e ritmico oppure la musica segni una catabasi sulle parole in excelsis Deo, o ancora brani in cui il testo del Pater noster potrebbe essere tranquillamente sostituito da quello dell’ Ave Maria o da qualsiasi altro, causa la scarsa adesione ad esso del gesto melodico.
Partire dal testo è quindi una condizione quasi obbligata per il compositore di musica corale: la prosodia, il significato, la suggestione suscitata sono il punto di partenza per l’intuizione del gesto musicale. Il compositore rinascimentale aveva tuttavia un prontuario di situazioni musicali già codificate, ricavate dalla conoscenza delle figure retoriche; l’intuizione musicale veniva a trovarsi già implicita nel significato della parola o del verso e il compositore non aveva altro compito che trasporre in suoni un testo che difficilmente avrebbe potuto svelare altrimenti la sua profonda valenza emotiva. Diventa pertanto fonte inesauribile d’ispirazione musicale la:
conoscenza della retorica musicale
Tra la vasta produzione di Josquin (18 messe, decine di mottetti, chansons, frottole) è possibile trovare dei componimenti assolutamente originali; pur assimilandoli a delle forme musicali codificate, queste composizioni in realtà sembrano contenere dei tratti di novità assoluta. E’ il caso, ad esempio, dello sconvolgente (non trovo altre parole!) canone a 24 parti Qui habitat in adjutorio altissimi che dimostra una padronanza tecnica superlativa sovrapponendo quattro canoni a sei entrate. Altro brano di difficile collocazione è lo struggente Nymphes des bois, una chanson-lamento addirittura su cantus firmus gregoriano (requiem, quindi politestuale) , scritta in occasione della morte del maestro, il ‘bon père’ Johann Ockeghem. Gli esempi potrebbero essere numerosi e ci porterebbero comunque tutti nella stessa direzione:
non aver paura di creare forme nuove contaminando generi, esperienze e periodi storici nel pieno rispetto delle leggi dell’armonia, ove desiderato.
Tutte le composizioni rinascimentali, non solo quelle di Josquin quindi, sono disseminate di tesori nascosti, celati ad una lettura superficiale ma che si rivelano ad un’analisi più attenta: figure retoriche di carattere numerico, particolari proporzioni che governano l’intera composizione ed altro ancora. Naturalmente non è necessario che siano tutte esplicitate affinché la composizione sia sufficientemente compresa dall’esecutore e dall’ascoltatore, tuttavia possono rappresentare degli elementi utili nella stesura del progetto compositivo iniziale e, inoltre, impreziosire il brano con piccole gemme visibili a chi riesce a leggere in profondità.
C’è un brano di Josquin che praticamente tutti i cori hanno cantato: si tratta della celeberrima frottola El grillo è buon cantore. La partitura evidenzia subito tutte le caratteristiche che il genere richiede: omoritmia, onomatopee, contrasti, testo divertente ed allusivo. Ne traggo quindi l’ultimo consiglio:
è possibile anche essere semplici e diretti, gioiosi, divertenti.
Questo piccolo decalogo desunto dalle composizioni di Josquin Desprez quale rappresentante del mondo rinascimentale, potrà essere un interessante spunto per le nostre composizioni: potranno essere consigli da seguire per tracciare una strada o, al contrario, consigli da non seguire per tracciarne un’altra. Fortunatamente, nella composizione non c’è un confine netto tra ciò che è giusto fare e ciò che potrebbe essere sbagliato: ogni decisione potrà avere valore e coerenza se sarà supportata dalla consapevolezza delle scelte intraprese.
Buon lavoro!