Riflessioni su un funerale reale Ho mutuato il titolo principale di quest’articolo dall'autobiografia di Henry Mancini che è stato, tra le altre realizzazioni musicali, il compositore di tante colonne sonore di Hollywood, in particolare la serie della Pantera Rosa e di Colazione da Tiffany. Nell'era degli studi filmografici di Hollywood, i compositori lavoravano sempre sotto pressione, portando sovente una pesante responsabilità per il successo o meno di un film; per consuetudine erano però esclusi dalla proiezione privata pre-rilascio frequentata esclusivamente dai magnati dello studio e dai loro accoliti. Come compositore, tutto quello che potevi fare era chiedere a qualcuno che era stato al corrente delle discussioni post-proiezione se i presenti avevano menzionato la musica (generalmente no, sembra), e se sì, se il verdetto era favorevole. Mi è stata ricordata questa significativa intuizione mentre navigavo tra i canali che trasmettevano le discussioni dopo il funerale del Duca di Edimburgo. In mezzo a tutti i torrenti di verbosità di esperti o aspiranti tali sulla funzione religiosa e su coloro che vi partecipavano, non ho sentito una sola parola di commento sulla musica che aveva formato una parte così cruciale del servizio funebre, e tanto meno alcun elogio ai musicisti che l'avevano pianificata ed eseguita con una professionalità impeccabile e con un impegno indefesso. Sono rimasto stupito? Non proprio. Ho imparato l'amara lezione da giovane organista, a volte chiamato a suonare ai matrimoni: non tutti amano e si preoccupano della musica come te. Abituato a un pubblico rispettoso e attento ai concerti, rimasi scioccato da ciò che mi sembrava la maleducazione e l'indifferenza delle congregazioni nuziali che si agitavano nei banchi, portavano con sé bambini urlanti, tossivano, agitavano i loro cartoncini d’invito e chiacchieravano durante il nostro inno che accompagnava la firma sul registro, così amorevolmente provato nei giorni precedenti. Ma torniamo ai film. Se dubitate dell'importanza della musica nei film, provate a guardare le scene nel deserto di Lawrence d'Arabia con il volume azzerato, o (scusate se state leggendo questo a colazione) la scena della doccia in Psycho - dove quello che è in realtà un pezzo di cinematografia piuttosto banale è reso terrificante dalla musica di Bernard Herrmann con i suoi violini stridenti. Qui ci sono parallelismi da fare con la musica in chiesa. Come in un film, la musica in una funzione religiosa non è lì per sé stessa, ma per formare parte di un mosaico di parole, musica, azione, costumi e (se sei alla Chiesa di San Giorgio di Windsor o in un posto simile) splendore scenico. Si chiama liturgia, e se la musica fa la sua parte correttamente, l'evento viene innalzato verso il cielo, e se non lo fa, il tutto può cadere piatto. A differenza di un film, la musica in una funzione religiosa non è generalmente il lavoro di un singolo compositore; il compito di chi pianifica la funzione - in questo caso con alcune richieste di musiche scelte dal Duca - è di far sì che tutto si incastri e fluisca senza intoppi, cosa che è stata brillantemente realizzata a Windsor, lavorando con le restrizioni imposte dal Covid che permettevano solo un quartetto di voci soliste piuttosto che il coro al completo. Se avete studiato (ad esempio) la forma di una sinfonia di Beethoven, saprete quanto sia importante la struttura della tonalità per legare insieme un'intera opera. E al funerale c'è stata una pianificazione altrettanto meticolosa delle tonalità. Era tutto costruito intorno a Sol, minore e maggiore, per il quale siamo stati preparati dall'ultimo brano organistico prima del Servizio Funebre, il Preludio Rhosymedre di Vaughan Williams in maggiore, che ha portato a una sommessa improvvisazione nella tonalità minore. Sono seguite le intramontabili Burial Sentences di William Croft (Sol minore) . . . e dopo la Bidding Prayer, il beneamato Eternal Father di Dykes (nella relativa tonalità della sottodominante maggiore, Do) - nell'arrangiamento di James Vivian che lascia coraggiosamente il primo verso a una voce solista non accompagnata, un po' come la tromba solitaria all'inizio de Il Padrino che ti fa prestare attenzione e ascoltare. Restiamo in Do maggiore per il Jubilate di Britten scritto su richiesta del Duca nel 1961, vivace, conciso e senza fronzoli (qualità che lui avrebbe incoraggiato, senza dubbio) … un ritorno in Sol minore per l'impostazione del Salmo 104 di William Lovelady, la sua tonalità e la struttura dei bassi che riecheggia uno dei più grandi lamenti, quello di Didone dall'opera di Purcell… Le risposte di William Smith dell'inizio del 17° secolo portano un raggio di sole in Sol maggiore, poi il Kontakion russo che ritorna al cupo Sol minore, un passo laterale verso il relativo maggiore di Sol minore per il ‘Last Post' in Si bemolle, la sua sottodominante Mi bemolle per la ‘Reveille', e un senso di ritorno e liberazione con l'Inno nazionale in Sol maggiore. Beethoven non avrebbe potuto pianificare meglio. I non musicisti non saranno stati consapevoli di tutto questo percorso di attenta progettazione, ma, credetemi, il servizio funebre non sarebbe stato lo stesso senza di esso. C'erano altri legami, reali, storici e locali, abilmente intrecciati nel tessuto del servizio funebre. William Croft (1678-1727) condivise lo stesso maestro (John Blow) con il suo più anziano contemporaneo Henry Purcell (al quale il Salmo 104 di Lovelady rende omaggio), e come lui fu un Gentiluomo della Cappella Reale e Organista dell'Abbazia di Westminster. La maggior parte della musica di Croft è dimenticata, ma il suo inno O God, our help in ages past è ancora uno dei preferiti e le sue Burial Sentences che hanno aperto il servizio sono state cantate al funerale di ogni sovrano britannico dopo Giorgio II. Il Kontakion russo - introdotto nel repertorio anglicano nel suo arrangiamento dall'organista di San Giorgio, Sir Walter Parratt, più di cento anni fa - ci ha ricordato le origini del Duca nella Chiesa ortodossa. Un altro organista di San Giorgio, Sir William Harris - insegnante di pianoforte delle giovani principesse Elisabetta e Margaret - ha composto uno dei preludi per organo prima del servizio. Il suo amico e collega di Windsor, il canonico Edmund Fellowes, fu il primo ad editare i Responsori di William Smith dell'inizio del XVII secolo, che abbiamo sentito abilmente arrangiate per quattro voci (nell'originale erano cinque) dall'ex assistente organista di St George, Roger Judd. E che dire del superbo quartetto vocale? Tom Lilburn, Nicholas Madden e Simon Whiteley, membri laici del Coro di San Giorgio, erano affiancati da un altro membro della stessa comunità, Miriam Allan (sposata con il loro collega Richard Bannan, ho diretto io stesso il coro al loro matrimonio)… Luke Bond era l'impeccabile organista che sapeva come abbinare il suo strumento alle quattro voci… James Vivian, organista e direttore del coro di San Giorgio, ha diretto non solo la musica ma ha fatto molto di più, mettendo insieme le tessere del mosaico per rendere il funerale, pianificato nel mezzo di una pandemia, l'omaggio "austero ma eloquente" al Duca, così come è stato riconosciuto dal critico musicale del Sunday Times, Hugh Canning. In The Spectator l'eminente compositore Sir James MacMillan lo ha descritto come avente "un impatto gentile ma enorme" su coloro che vi hanno assistito. Altri più qualificati di me avranno, spero, commentato lo splendido contributo alla giornata dato dai contingenti militari nei cortili del Castello e dai due eminenti sacerdoti che hanno guidato la funzione, ma io vi ho dato il mio punto di vista da musicista. Così io, almeno, ho menzionato la musica.
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Riflessioni su un funerale reale

Ho mutuato il titolo principale di quest’articolo dall’autobiografia di Henry Mancini che è stato, tra le altre realizzazioni musicali, il compositore di tante colonne sonore di Hollywood, in particolare la serie della Pantera Rosa e di Colazione da Tiffany. Nell’era degli studi filmografici di Hollywood, i compositori lavoravano sempre sotto pressione, portando sovente una pesante responsabilità per il successo o meno di un film; per consuetudine erano però esclusi dalla proiezione privata pre-rilascio frequentata esclusivamente dai magnati dello studio e dai loro accoliti. Come compositore, tutto quello che potevi fare era chiedere a qualcuno che era stato al corrente delle discussioni post-proiezione se i presenti avevano menzionato la musica (generalmente no, sembra), e se sì, se il verdetto era favorevole.

Mi sono ricordato di questa significativa intuizione mentre navigavo tra i canali televisivi che trasmettevano le discussioni dopo il funerale del Duca di Edimburgo. In mezzo a tutti i fiumi di parole di esperti o aspiranti tali sulla funzione religiosa e su di coloro che vi partecipavano, non ho sentito un solo commento sulla musica che aveva formato una parte così cruciale del servizio funebre, e tanto meno alcun elogio ai musicisti che l’avevano pianificata ed eseguita con professionalità impeccabile e con impegno indefesso.

Sono rimasto stupito? Non proprio. Ho imparato l’amara lezione da giovane organista, a volte chiamato a suonare ai matrimoni: non tutti amano e si preoccupano della musica come te. Abituato a un pubblico rispettoso ed attento ai concerti, rimanevo scioccato da ciò che mi sembrava la maleducazione e l’indifferenza delle congregazioni nuziali che si agitavano nei banchi, portavano con sé bambini urlanti, tossivano, sventolavano i loro cartoncini d’invito e chiacchieravano durante il nostro inno che accompagnava la firma sul registro, così amorevolmente provato nei giorni precedenti.

Ma torniamo ai film. Se dubitate dell’importanza della musica nei film, provate a guardare le scene nel deserto di Lawrence d’Arabia con il volume azzerato, o (scusate se state leggendo questo a colazione) la scena della doccia in Psycho – dove quello che è in realtà un pezzo di cinematografia piuttosto banale è reso terrificante dalla musica di Bernard Herrmann con i suoi violini stridenti.

Qui ci sono parallelismi da fare con la musica in chiesa. Come in un film, la musica in una funzione religiosa non è lì per sé stessa, ma per formare parte di un mosaico di parole, musica, azione, costumi e (se sei alla Chiesa di San Giorgio di Windsor o in un posto simile) splendore scenico. Si chiama liturgia, e se la musica fa la sua parte correttamente, l’evento viene innalzato verso il cielo, e se non lo fa, il tutto può precipitare sciattamente al suolo.

A differenza di un film, la musica in una funzione religiosa non è generalmente il lavoro di un singolo compositore; il compito di chi pianifica la funzione – in questo caso con alcune richieste di musiche scelte personalmente dal Duca – è di far sì che tutto si incastri e fluisca senza intoppi, cosa che è stata brillantemente realizzata a Windsor, lavorando con le restrizioni imposte dal Covid che permettevano solo un quartetto di voci soliste piuttosto che il coro al completo. Se avete studiato (ad esempio) la forma di una sinfonia di Beethoven, saprete quanto sia importante la struttura delle tonalità per legare insieme un’intera opera. E al funerale c’è stata una pianificazione altrettanto meticolosa delle tonalità. Era tutto costruito intorno a Sol, minore e maggiore, per il quale siamo stati preparati dall’ultimo brano organistico prima del Servizio Funebre, il Preludio Rhosymedre di Vaughan Williams in maggiore, che ha portato a una sommessa improvvisazione nella tonalità minore. Sono seguite le intramontabili Burial Sentences di William Croft (Sol minore) . . . e dopo la Bidding Prayer[1], il benamato Eternal Father di Dykes (nella relativa tonalità della sottodominante maggiore, Do) – nell’arrangiamento di James Vivian che lascia coraggiosamente il primo verso a una voce solista non accompagnata, un po’ come la tromba solitaria all’inizio de Il Padrino che ti fa prestare attenzione e ascoltare. Restiamo in Do maggiore per il Jubilate di Britten scritto su richiesta del Duca nel 1961, vivace, conciso e senza fronzoli (qualità che lui avrebbe incoraggiato, senza dubbio) … un ritorno in Sol minore per l’impostazione del Salmo 104 di William Lovelady, la sua tonalità e la struttura dei bassi che riecheggia uno dei più grandi lamenti, quello di Didone dall’opera di Purcell… I Responsori di William Smith dell’inizio del 17° secolo portano un raggio di sole in Sol maggiore, poi il Kontakion[2] russo che ritorna al cupo Sol minore, un passo laterale verso il relativo maggiore di Sol minore per il Last Post[3] in Si bemolle, la sua sottodominante Mi bemolle per la Reveille[4], e un senso di ritorno e liberazione con l’Inno nazionale in Sol maggiore. Beethoven non avrebbe potuto pianificare meglio. I non musicisti non saranno stati consapevoli di tutto questo percorso di attenta progettazione, ma, credetemi, il servizio funebre non sarebbe stato lo stesso senza di esso.

C’erano altri legami, reali, storici e locali, abilmente intrecciati nel tessuto del servizio funebre. William Croft (1678-1727) condivise lo stesso maestro (John Blow) con il suo più anziano contemporaneo Henry Purcell (al quale il Salmo 104 di Lovelady rende omaggio), e come lui fu un Gentiluomo della Cappella Reale e Organista dell’Abbazia di Westminster. La maggior parte della musica di Croft è dimenticata, ma il suo inno O God, our help in ages past è ancora uno dei preferiti e le sue Burial Sentences che hanno aperto il servizio sono state cantate al funerale di ogni sovrano britannico dopo Giorgio II. Il Kontakion russo – introdotto nel repertorio anglicano nel suo arrangiamento dall’organista di San Giorgio, Sir Walter Parratt, più di cento anni fa – ci ha ricordato le origini del Duca nella Chiesa ortodossa. Un altro organista di San Giorgio, Sir William Harris – insegnante di pianoforte delle giovani principesse Elisabetta e Margaret – ha composto uno dei preludi per organo prima del servizio. Il suo amico e collega di Windsor, il canonico Edmund Fellowes, fu il primo ad editare i Responsori di William Smith dell’inizio del XVII secolo, che abbiamo sentito abilmente arrangiate per quattro voci (nell’originale erano cinque) dall’ex assistente organista di St George, Roger Judd.

E che dire del superbo quartetto vocale? Tom Lilburn, Nicholas Madden e Simon Whiteley, membri laici del Coro di San Giorgio, erano affiancati da un altro membro della stessa comunità, Miriam Allan (sposata con il loro collega Richard Bannan, ho diretto io stesso il coro al loro matrimonio)… Luke Bond era l’impeccabile organista che sapeva come abbinare il suo strumento alle quattro voci… James Vivian, organista e direttore del coro di San Giorgio, ha diretto non solo la musica ma ha fatto molto di più, mettendo insieme le tessere del mosaico per rendere il funerale, pianificato nel mezzo di una pandemia, l’omaggio “austero ma eloquente” al Duca, così come è stato riconosciuto dal critico musicale del Sunday Times, Hugh Canning. In The Spectator l’eminente compositore Sir James MacMillan lo ha descritto come avente “un impatto gentile ma enorme” su coloro che vi hanno assistito.

Altri più qualificati di me avranno, spero, commentato lo splendido contributo alla giornata dato dai contingenti militari nei cortili del Castello e dai due eminenti sacerdoti che hanno guidato la funzione, ma io vi ho dato il mio punto di vista da musicista. Così io, almeno, ho menzionato la musica.

John

 

[1] Una Bidding-prayer è la formula di preghiera o esortazione alla preghiera detta durante il culto nelle chiese della Comunione anglicana. Si pronuncia durante la liturgia della parola, dopo il sermone. Tali formule si trovano nelle antiche liturgie greche, ad esempio quella di San Crisostomo, nella liturgia gallicana e nelle liturgie inglesi pre-riforma.

[2] Il contacio (dal greco κοντάκιον, kontákion, originariamente il bastoncello intorno al quale si avvolgeva la pergamena con il componimento), è una composizione strofica a carattere musicale tipica della letteratura bizantina che aveva come tema una predica e può quindi considerarsi un’omelia di carattere lirico-drammatico accompagnato dalla melodia.

[3] Nella tradizione militare, il Last Post (Ritirata) è lo squillo di tromba che indica la fine delle attività della giornata. Viene anche suonata ai funerali militari per indicare che il soldato è andato al suo ultimo riposo

[4] La Reveille (sveglia) è uno squillo di tromba molto spesso associato ai militari; è principalmente usata per svegliare il personale militare all’alba. Il nome deriva da réveille (o réveil), la parola francese per “svegliare”.

 

Traduzione dall’Inglese all’Italiano di Andrea Angelini

PS: Questo articolo è stato precedentemente pubblicato sul blog dell’autore su https://johnrutter.com. Grazie a John Rutter per averci autorizzato a pubblicarlo su Dirigo.

About Post Author

John Rutter

John Rutter è nato a Londra nel 1945 e ha studiato musica al Clare College di Cambridge. Le sue composizioni comprendono musica corale, orchestrale e strumentale, ed è stato co-editore di varie antologie corali tra cui quattro volumi di Carols for Choirs con Sir David Willcocks e la serie Oxford Choral Classics. Dal 1975-9 è stato direttore di musica al Clare College, e nel 1981 ha formato il suo coro, il Cambridge Singers, come coro da camera professionale dedicato principalmente alla registrazione. Ora divide il suo tempo tra composizione e direzione, e ha diretto o tenuto conferenze in molte sale da concerto, università, chiese, festival musicali e conferenze in Europa, Scandinavia e Nord America. È un membro onorario del Westminster Choir College, Princeton, un membro della Guild of Church Musicians, e nel 1996 gli è stato conferito il Lambeth Doctorate of Music. Nel 2002 la sua versione del Salmo 150, commissionata per il Giubileo d'Oro della Regina, è stata eseguita al Servizio di Ringraziamento nella Cattedrale di St Paul a Londra. Le opere corali di Rutter, tra cui il Requiem e il Gloria, sono spesso eseguite in tutto il mondo. Nel 2003 la Mass of the Children, un'opera importante per coro di adulti e bambini, solisti e orchestra, è stata eseguita per la prima volta alla Carnegie Hall di New York diretta dal compositore. La musica di John Rutter è stata ampiamente registrata ed è disponibile su molte etichette discografiche tra cui Universal, Naxos e Hyperion. I Cambridge Singers hanno registrato molte delle opere di John Rutter sull'etichetta Collegium Records.
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