In questo numero, abbiamo inteso dedicare la rubrica Tecnica del Direttore al racconto di un’esperienza significativa di vita vissuta grazie e per la Polifonia da un collega e amico, Vincenzo Scarafile, nell’ambito delle realtà anglosassoni. Pazienteranno i gentili lettori, se non si tratterà di schemi, prassi, tecnicismi, in quanto – ne siamo convinti – la tecnica necessiti anche di incontri e scambi esperienziali. Quale migliore occasione, quindi, del ‘sentire’ dalle sue parole le emozioni, le virtù e le difficoltà riscontrane in anni di lavoro presso i gruppi vocali inglesi? Buona lettura!
Benvenuto al maestro Vincenzo Scarafile sulle pagine di Dirigo. Come ti trovi con l’appellativo di ‘polifonista contemporaneo’?
Grazie a voi per l’invito. “Polifonista contemporaneo” mi piace e credo un po’ di ritrovarmi in questa definizione perché la polifonia è stata ed è (e credo continuerà ad essere) oggetto del mio studio e del mio interesse. Si tratta di una grande passione nata durante l’adolescenza e parte principale del mio lavoro, specialmente nel periodo che ho trascorso all’estero.
Dal curriculum si legge che sei stato per alcuni anni cantore nel mondo anglosassone. Cosa ti ha portato a seguire questa strada e cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Sono sempre stato affascinato dal suono dei cori inglesi, vocalmente tra i migliori al mondo.
Nel 2000, durante un corso in Umbria, ho studiato con un baritono inglese, Colin Baldy, che mi ha fatto scoprire la mia voce da controtenore e che mi ha parlato a lungo della tradizione corale anglicana.
Così nel 2005 ho fatto la valigia per Londra. Pensavo di fermarmi soltanto poche settimane con l’idea di migliorare il mio inglese. Tuttavia, quasi senza rendermene conto, sono rimasto sette anni nel Regno Unito.
Ho cantato da “Alto lay clerk”, cantore contraltista, nei cori professionali delle Cattedrali di Canterbury, Southwell & Nottingham, Lincoln e nel 2007 sono arrivato a Christ Church, la Cattedrale di Oxford all’interno dell’omonimo college fondato nel 1546 dal Re Enrico VIII (dove hanno ambientato le scene più celebri del colossal “Harry Potter”).
Come membro di una choral foundation, una cappella musicale, il mio compito era partecipare alle prove pomeridiane e cantare l’evensong, il vespro anglicano a lume di candela, tutte le sere alla stessa ora (rigorosamente preceduto da una tazza di tè). La domenica poi c’erano tre liturgie cantate: matins, holy mass e ancora evensong per la comunità del college e i numerosi visitatori provenienti da ogni parte del mondo. In più, oltre alla liturgia, c’erano i concerti, le dirette alla BBC Radio 3, le incisioni discografiche e i tour internazionali.
Questa esperienza mi ha permesso di vivere la polifonia quotidianamente, osservare il training vocale e musicale ricevuto dai piccoli coristi inglesi, praticare e conoscere il vasto repertorio corale e la liturgia della grande tradizione anglicana, viaggiare per il mondo, lavorare con alcuni tra i più esperti organisti e direttori di coro inglesi e di conoscere musicisti che attualmente fanno parte di gruppi corali di fama internazionale (The Tallis Scholars, I Fagiolini, Stile Antico, The King’s Singers, etc.). Sicuramente gli anni passati in Inghilterra e ad Oxford in particolare mi hanno offerto una serie di opportunità sia professionali che personali importanti. A distanza di anni oltre ai vantaggi di conoscere bene la lingua, ho conservato un’impostazione mentale tipica di quel mondo, sia quando faccio musica che nel quotidiano: la puntualità, la cura dei dettagli, la ritualità di alcune consuetudini, il senso del dovere, la ricerca di uno standard elevato in ogni attività e il pragmatismo anglosassone del “getting things done”.
Ti senti più cantore o direttore?
Difficile rispondere a questa domanda perché sono diviso esattamente a metà. Forse con gli anni penso alla musica più dal punto di vista globale di un direttore, ma devo dire che cantare in coro, ascoltare i suoni prodotti dagli altri, essere immerso nel suono corale e produrlo vocalmente, magari in una bella acustica risonante, essendo fisicamente responsabile del risultato sonoro, mi regala una sensazione di piacere ancora superiore rispetto alla direzione.
Quali sono le esperienze in entrambi i campi che ricordi con il sorriso soddisfatto?
Le più belle esperienze da cantore sono indissolubilmente legate al nome di J.S.Bach. Ricordo con emozione la mia prima Messa in Si minore a Bari nella Basilica di San Nicola sotto la direzione del M° Marco Berrini, la partecipazione al BachFest di Lipsia in Germania nel 2008 cantando musiche di Bach e dei suoi figli nella Nikolaikirche, poi ancora l’esibizione negli Stati Uniti nella maestosa Cattedrale di Washington e nel National Grand Theatre di Pechino, il più grande auditorium della Cina da 2000 posti e un concerto in duo in Vaticano per i 500 anni della Riforma Luterana.
Per quanto riguarda la direzione ripenso con il sorriso ad alcune collaborazioni da direttore ospite in due nazioni che amo, il Portogallo e la Spagna. A Lisbona con il Coro “Vox Laci”, ad Avila e Granada per alcuni seminari internazionali. E poi ancora in Svizzera per il Festival Cantar di Pietre e più recentemente a Fermo nelle Marche, per un concerto nelle antiche Cisterne Romane dall’acustica impressionante.
Ora sei docente di Teoria, Analisi e Composizione presso il Liceo Musicale di Monopoli. Com’è stato il cambio di vita professionale?
Il ritorno in Italia è stato inizialmente traumatico. Dopo aver vissuto ad Oxford probabilmente tutti i confronti lasciano un po’ insoddisfatti. Mi sono serviti un paio d’anni per tornare gradualmente a mio agio nella madre terra italica. Oggi il mio lavoro è molto diverso: mi occupo della formazione musicale degli studenti di un liceo musicale. Insegno il solfeggio, la teoria, l’analisi, la composizione, l’ear training. Cerco di utilizzare un approccio pratico ai concetti della teoria musicale, passando sempre dal contatto con il suono, il corpo e la voce prima e poi all’astrazione teorica. Inevitabilmente il mio vissuto corale riaffiora sempre con forza in classe dove non perdo mai l’occasione di far cantare tutti gli studenti.
C’è ancora spazio per la direzione corale tra gli studenti di oggi?
Penso che oggi ci siano molte opportunità per chi voglia avvicinarsi alla direzione corale sia in ambito accademico che in altri contesti. L’Italia corale degli ultimi decenni è cresciuta molto e oggi un po’ ovunque da Nord a Sud si organizzano seminari, masterclass, incontri tematici interessanti con didatti molto preparati. Rispetto allo studio di uno strumento musicale la difficoltà è che lo strumento-coro è uno strumento animato, fatto di persone, di coristi e non di tasti da premere. Non puoi esercitarti da solo nel tuo studio come su un pianoforte e spesso all’inizio degli studi l’aspirante direttore non ha a disposizione uno strumento per imparare il mestiere. Io suggerisco di cercare tutte le occasioni per mettersi “dall’altra parte della barricata” cantando tanto nei cori, osservando altri direttori e maestri. È necessario anche studiare bene la composizione, l’analisi, i repertori, la tecnica vocale, la lettura della partitura, la gestione dei gruppi, un po’ di pedagogia, psicologia e ovviamente la tecnica direttoriale. Lo spazio per gli studenti c’è, se uno sa ritagliarselo, specie nel mondo della coralità amatoriale.
Cosa significa dirigere un coro, per il mº Scarafile? Stai dirigendo qui in Italia?
Penso che dirigere un coro sia una tra le più nobili e gratificanti esperienze umane di condivisione e comunicazione non solo musicale. Nel coro si gioisce e si soffre insieme, si condividono esperienze, vissuti, emozioni, convivialità oltre alle note. Quando un direttore riesce a tenere unito ed affiatato un gruppo e a trasmettere la propria interpretazione facendo vibrare, pulsare e respirare i coristi all’unisono, ci si ritrova in una dimensione dove abita la magia del far coro: qualcosa di difficile da descrivere ma che chi fa coro conosce bene. Il ritmo cardiaco del gruppo si stabilizza, il respiro diventa più profondo e i timbri vocali si fondono, la pronuncia del testo diventa omogenea e cristallina, vengono rilasciati anche ormoni del piacere: ossitocina, serotonina ed endorfine. Insomma puro piacere e benessere che ci ricorda che fare coro non solo è bello ma fa anche bene alla mente e al corpo. In Italia ho diretto diverse formazioni: i primi passi li ho mossi con il coro di voci bianche “Cantintondo” della scuola primaria del mio paese, Cisternino (BR), e poi con altri cori di ragazzi e di adulti. Al rientro dall’Inghilterra ho diretto il coro femminile “Gabriel Fauré” di Bari, l’ensemble vocale “Compagnia Virtuosa” di Pescara dedito alla musica antica, il Quintetto Vocale Romano a voci virili e come maestro collaboratore il “Coro del Faro”, un grande coro amatoriale di oltre cento coristi della città di Bari.
Esiste una tecnica direttoriale? O è meglio la spontaneità poco codificata?
Esistono tecniche direttoriali più o meno condivise e standardizzate, come esiste la tecnica strumentale. Utile quando ci si trova di fronte ad un gruppo sconosciuto o di recente formazione e c’è bisogno di comunicare con chiarezza informazioni di tipo ritmico-motorio, gli attacchi, le chiuse, le dinamiche, i cambi di tempo etc.. Man mano che cresce la conoscenza e la fiducia lavorando con lo stesso gruppo il direttore può anche superare la gestualità che trasmette informazioni principalmente di ordine ritmico (ci si capisce anche con uno sguardo o con un respiro, senza muovere le mani) per concentrarsi molto di più su altre dimensioni della comunicazione musicale come i colori del suono, il piano affettivo del testo, il piano spirituale della musica. Ecco che il gesto del direttore diventa veicolo di espressione del pensiero musicale e non semplice ricordo della pulsazione metronomica. Sono molto affascinato dai direttori che battono poco il tempo nel piano verticale e si muovono soprattutto nelle dimensioni orizzontale e sagittale, facendo tanta Musica.
Hai ancora contatti con l’Inghilterra corale?
Sono sempre in contatto con gli ex colleghi e amici dell’Inghilterra corale e negli ultimi dieci anni ho ospitato diversi cori inglesi organizzando tour di concerti nei luoghi più suggestivi della Puglia come ad esempio la Grave delle Grotte di Castellana, la Basilica di Santa Croce di Lecce, emblema del barocco salentino o la Cattedrale romanica di Trani sul mare.
Il prossimo gruppo in arrivo sarà il Magdalene College Choir di Cambridge, diretto da James Potter. Il coro sarà in Puglia per una settimana di concerti ad Aprile 2023. Una bella occasione da non perdere per tutti gli appassionati di musica corale.
In chiusura, permettimi di ringraziarti per la disponibilità e la consueta cortesia e professionalità che ti caratterizzano. Un’ultima domanda: parlando della direzione di coro, parafrasando gli 883, nessun rimpianto, nessun rimorso?
Grazie ancora a voi per questo spazio e ai vostri lettori. Penso capiti un po’ a tutti prima o poi di interrogarsi sul proprio percorso, sulla strada intrapresa. A volte si ha bisogno di nuove sfide, di nuovi stimoli o semplicemente di una pausa per valutare il percorso fatto fino a quel momento. Quando si parla di rimpianti la risposta, come spesso accade in molte situazioni, è “dipende”. Da come si è agito, da ciò che è successo, dai risultati ottenuti.
Se mi guardo indietro credo rifarei tutto. Non ho rimpianti, solo belle storie da raccontare. Spero di continuare sempre a crescere professionalmente e umanamente, trasmettendo la mia passione per la musica e per il mondo della coralità ai miei studenti, ai miei coristi e al pubblico.