È sicuramente difficile, se non impossibile, individuare con precisione e in modo definitivo ciò che sta alla base del processo di creazione artistica e, dunque, anche della composizione musicale. Nell’immaginario comune prevale senz’altro l’idea di matrice romantica dell’artista visitato da un’ispirazione divina (il dàimon di socratica memoria) e teso all’espressione del proprio mondo interiore ed emotivo in preda ad uno stato di rapimento quasi mistico.
Per contrasto l’arte novecentesca e contemporanea ha riportato in auge, almeno in parte, l’antica figura dell’artista che in totale coerenza con l’immagine moderna del mondo, meccanicistica e materiale, trae i presupposti essenziali della propria arte e deriva i propri strumenti di lavoro dalla conoscenza della natura fisica e della razionalità matematico-scientifica.
In sintesi, abbandono emotivo da un lato, controllo rigoroso della ragione dall’altro, in quella che sembra costituirsi come un’antitesi radicale e che invece rappresenta la naturale coesistenza di due aspetti inevitabilmente compresenti nel processo creativo.
Entrambi, se assolutizzati, finiscono per dar luogo a miti contrapposti, quello dell’artista poeta e quello dell’artista scienziato, a turno prevalenti lungo i secoli passati. A uno sguardo più attento, però, essi paiono trovare invece un giusto equilibrio all’interno della figura concreta, pragmatica e realistica dell’artista artigiano. Essa riassume in sé tutta quella padronanza del mestiere che sposa, in modi diversi secondo la personalità e le caratteristiche di ciascuno, controllo tecnico e sostanza espressiva e, vincolandoli l’un l’altro, favorisce il raggiungimento di un quantomeno credibile risultato estetico.
Va ovviamente tenuto conto che l’ambito specifico della composizione musicale si presenta piuttosto vario e diversificato; il fatto che ci si riferisca alla musica colta anziché alla musica di consumo, alla musica pura invece che alla musica funzionale, alla musica destinata ai professionisti piuttosto che a quella rivolta agli amatori, può dare connotazioni di volta in volta assai diverse alle considerazioni precedenti. Comporre musica corale comporta, nella maggioranza dei casi, scrivere per complessi amatoriali e, non di rado, su specifica commissione o invito e ciò rende particolarmente calzante il riferimento alla dimensione artigianale del lavoro del compositore. Spesso, infatti, si tratta prima di tutto di dar vita a brani efficaci e di comoda eseguibilità, con una scrittura vocale in grado di funzionare bene o, almeno, dotata di un buon rapporto difficoltà-resa. Nel caso di commissioni ricevute da uno specifico coro si dovrà, naturalmente, tenere conto delle sue caratteristiche particolari, facendo il possibile per metterne in luce le qualità migliori. Scrivere per cori giovanili o scolastici comporterà, oltre alla capacità di catturare l’attenzione di bambini o ragazzi, anche quella di rispettare la loro vocalità in formazione e di conferire alle partiture, quando possibile, anche una valenza pedagogico-didattica. Comporre musica sacro-liturgica, d’altro canto, richiederà non solo la capacità di adeguarsi ai tempi e alle necessità del rito ma anche di individuare uno stile appropriato, artisticamente degno ma, al contempo, in grado di parlare alla comunità dei fedeli e di essere per essa comprensibile.
Da quanto detto appare evidente come il compositore di musica corale dovrebbe essere dotato innanzitutto di una solida preparazione tecnico-compositiva, tale da consentirgli di modulare la propria scrittura in relazione alle diverse circostanze ed esigenze.
Un approfondito e duraturo contatto diretto con la pratica corale, nelle vesti di direttore o cantore, sarà quasi indispensabile per dotarsi di buona conoscenza della vocalità individuale e, soprattutto, delle caratteristiche e delle potenzialità dello strumento coro, conoscenza necessaria non solo per rendere corretta e credibile la propria scrittura vocale ma anche per costruirsi un proprio ben fondato immaginario timbrico corale. Una solida esperienza di lavoro in questo ambito sarà utile anche a rinforzare un sano pragmatismo e uno spiccato senso pratico al fine di evitare situazioni di scrittura inutilmente complesse o cerebrali, destinate ad appesantire il lavoro di apprendimento e preparazione di un brano senza che tale sforzo trovi un’effettiva giustificazione nella resa sonora ultima.
Una personalità artistica matura e ben definita, frutto certo di naturale predisposizione ma anche di esperienza, pratica, studio e cultura musicale, renderà alla fine possibile il fatto che ogni brano più facilmente possa risultare personale e dotato di una propria dignità artistica. In sostanza, anche qualora esso non si rivelasse particolarmente ispirato, dovrebbe comunque presentarsi come qualitativamente valido e ben scritto, opera di buon artigianato.
A tal fine trovo credo sia importante incoraggiare il compositore a vincere la tentazione di una facile gratificazione ottenuta attraverso la pedissequa imitazione di modelli stilistici di successo; così facendo contribuirà solo ad aumentare la schiera degli emuli dei compositori di tendenza, non aggiungendo nulla, di fatto, alla lezione degli originali, ormai divenuta patrimonio musicale collettivo, e sacrificando invece la propria individualità artistica.
Il cercare una propria strada non significa, necessariamente, ideare a priori un proprio specifico linguaggio, inedito e inaudito, impresa per altro molto complessa per il compositore odierno, quasi schiacciato dalla straordinaria eredità millenaria della grande tradizione musicale occidentale.
Una possibile alternativa è quella di cercare piuttosto una profonda sincerità di espressione, senza forzature autoimposte di natura intellettualistica né tantomeno commerciale, tale da coagulare gli inevitabili echi del passato in una sintesi originale e convincente.
È naturalmente molto probabile che tale approccio compositivo possa condurre ad un eclettismo stilistico facilmente etichettabile come manierismo. A ben guardare, però, la presenza di un’autentica componente personale, ancorché presente solo sottotraccia, sostenuta da solido mestiere e da un pizzico di talento, può essere sufficiente per assicurare una cifra stilistica distintiva e chiaramente riconoscibile, nonostante l’apparente utilizzo di elementi compositivi desunti dal passato. La somma lezione stravinskiana (la quale ha costantemente rivelato una cifra artistica netta e inconfondibile a fronte di un percorso linguistico-musicale estremamente vario ma sempre costruito su riferimenti espliciti alla tradizione storica) è in tal senso quasi paradigmatica.
Riassumendo, l’originalità ha maniera di manifestarsi, in tal forma, non tanto nell’adozione di un linguaggio totalmente nuovo quanto nella sintesi di elementi compositivi tradizionali, resi unici dalla particolare personalità, tecnica ed espressiva, del compositore. L’utilizzo di una grammatica musicale sostanzialmente già nota ai cori ma, in un certo qual modo, presentata in rinnovata veste, rende la comunicazione tra gli interpreti e il compositore più immediata e diretta senza negare a quest’ultimo la possibilità di esprimere con libertà il proprio mondo espressivo.
Le numerose scuole corali presenti in ambito nazionale e internazionale, i diversi organici e le differenti caratteristiche timbriche e sonore che si possono ritrovare all’interno del mondo corale, offrono un terreno straordinariamente fertile in cui questo eclettismo virtuoso è messo nella condizione di esprimersi al meglio, in modo ricco e creativo.
Da quanto detto innanzi appare, credo, evidente quale elasticità professionale, capacità di adattamento e fantasia creativa siano allora richiesti al compositore di musica corale, anche nel caso egli non scriva sulla base di una specifica commissione o per un determinato gruppo.
In questo senso va dunque inteso quanto affermato già nel titolo di questo articolo cioè che egli dovrà essere, prima di tutto, un sarto capace; sostenuto da un solido mestiere sarà così in grado di cucire un abito su misura per il coro di volta in volta in oggetto, abito nel quale sarà comunque sempre impressa, in un modo o nell’altro, la caratteristica firma del suo creatore.
Articolo interessante Da precisare alcuni punti. L’abbandono emotivo non è corretto dire che identifica “l’artista poeta”, perché la definizione implica un modo di intendere la poesia come atto puramente emotivo, come se i poeti scrivessero senza tecnica, conoscenze specifiche e alcun controllo. Se poeta diventa un aggettivo, allora l’artista che fa poesia, il poeta, appunto, lo dovremmo chiamare l’artista poeta poeta? Corretto invece è identificare l’illusione di alcuni artisti di volersi porre come “scienziati”, il che è una posizione scientista, né artistica né scientifica, che illude, appunto, l’artista di “elevarsi” (come se la scienza fosse in sè superiore all’arte) e lo fa invece decadere dal suo ruolo di artista, dimostrando di non conoscere, né rispettare di fatto, cosa sia l’arte e l’estetica, né di conoscere l’epistemologia e la scienza. Scientificamente, inoltre, come le neuroscienze confermano, è errata la dicotomia ragione-emozione, in quanto entrambe agiscono in ogni atto, anche se può prevalere in certe circostanze, o almeno cosi apparire, una delle due, senza annullare l’altra. Da rivedere, infine, l’uso del termine “musica di consumo” quando essa racchiude, snobisticamente, ogni musica che si suppone non “colta”: non solo c’è il jazz che richiede notevole cultura e preparazione, ma anche il rock nelle sue varie declinazioni, e nell’ambito della canzone la differenza tra la canzone d’autore e quella di consumo è netta. La musica di consumo è easy listening e sul piano dei testi molto fragile (quello che non hanno capito i contestatori del Nobel per la Letteratura dato a Dylan, ritenendo che sia “solo” un musicista). Infine se il termine “consumo” è ascrivibile alla facile divulgazione con intenti meramente di guadagno, anche qui se ne può discutere, in quanto l’industria culturale dei mass-media può, e spesso lo fa, gestire ogni attività artistica, e quindi ogni opera, e ogni artista, può diventare un prodotto di “consumo”.