Partiamo innanzitutto da un dato storico imprescindibile: il direttore di coro liturgico è figura doppiamente recente. Lo è innanzitutto in quanto direttore, realtà nata nell’Ottocento dalla decantazione e specializzazione di altre professionalità musicali, quali il maestro di cappella, il capo dell’orchestra (solitamente il primo violino), il maestro al cembalo e lo stesso compositore. In secondo luogo, lo è ancor di più in forza dello stesso coro liturgico, creatura giovane geneticamente derivata dall’antica cappella musicale, ma profondamente mutata nelle sue componenti e nelle sue dinamiche rispetto all’antenata. In questa sede partiremo dall’analisi delle due realtà professionali, storicamente identificabili con quella del maestro di cappella — secondo l’accezione antica — e con il moderno direttore di coro liturgico, per passare quindi a evidenziare il bagaglio di competenze necessario a quest’ultima figura nella situazione attuale.
La professionalità del maestro di cappella, come è andata concretizzandosi dalla metà del Quattrocento fino alle soglie del Concilio Vaticano II, era quella del musicus, via via sempre più lontano dalla speculazione medievale e sempre più proiettato verso il musico prattico: innanzitutto compositore stricto sensu e talvolta virtuoso di uno strumento, poi cantore lui stesso fin dall’infanzia, quasi sempre insignito degli ordini sacri o religioso, incaricato della didattica musicale dei fanciulli e moderatore di una compagine di cantori e strumentisti (la cappella), soli maschi, quasi sempre chierici e professionisti al pari suo, esperto conoscitore del repertorio, dei generi e dei riti, ma distinto dal maestro delle cerimonie o cerimoniere e non più garante e custode di una tradizione liturgica locale, come il suo antenato, il cantor medievale. Mosso anche da interessi economici e di prestigio personali, conteso talvolta da più istituzioni, il maestro di cappella non era più legato ad una realtà, ma si spostava in passato nel suo percorso professionale, nel quale era imprenditore di se stesso. A lui era richiesto di:
- moderare la compagine dei cantori e musici spesso in qualità di primus inter pares, guidando le esecuzioni e tenendo la battuta, in posizione separata dall’organista; quest’ultimo aveva infatti un posto speciale in seno alla vita della cattedrale, assunto secondo precise esigenze liturgiche e valutato attraverso il superamento di un preciso esame attitudinale1;
- comporre musiche nuove per il servizio liturgico, la proprietà delle quali era dell’istituzione stessa, che acquistava la carta rigata necessaria e ne manteneva il possesso, secondo un principio che non si curava della proprietà intellettuale, ma solo di quella materiale;
- garantire l’educazione musicale dei fanciulli eventualmente affidati per questo scopo all’istituzione presso la quale il musicista era impiegato, fornendo la necessaria formazione sia nel canto fermo che in quello figurato;
- proporre l’acquisto di musica a stampa ad uso della cappella ed eventualmente dei pueri, conforme alle esigenze della compagine e dell’istituzione.
Seppure in continuità semantica col precedente, ben diverso è l’orizzonte dal quale proviene e nel quale si muove il moderno direttore di coro liturgico, figura che emerge dopo il Concilio Vaticano II, in un panorama ecclesiale e musicale profondamente mutato. La realtà odierna ci offre un profilo nel quale intravvediamo in filigrana alcuni dei tratti antichi, simultaneamente intrecciati con un contesto diverso ad intra e ad extra. Privato quasi sempre delle antiche funzioni didattiche (che erano già attribuite al cantor medievale) per l’assenza di cantori fanciulli, organizzatore di un moderno coro misto quasi sempre di soli cantori non professionisti, laico e in molti casi accademicamente formato sul fronte della musica corale, talvolta compositore, l’antico maestro di cappella condivide solo in parte il suo profilo con quello del moderno direttore di coro (che agisce spesso su fronti corali diversificati), le cui competenze liturgiche sono di rado fondate su un percorso istituzionale di formazione e più spesso acquisite, più o meno sistematicamente, nel tirocinio all’interno di un coro liturgico o al fianco di qualche direttore o sacerdote.
Alla luce di questo raffronto, è lecito domandarsi quale debba essere il bagaglio di competenze oggi richiesto a chi si occupa di un coro liturgico.
Ci si stupirà di scoprire che, a fronte del mutato panorama attuale, molti dei contenuti dell’antica professionalità del maestro di cappella non hanno perso la loro natura di imprescindibili conoscenze tecniche che occorre analizzare singolarmente.
Competenze corali
Il direttore di coro liturgico deve essere innanzitutto un direttore. Senza entrare nella vexata quæstio della necessità o meno di un diploma specifico per chi si appresta a dirigere un coro (presupposto che, personalmente, ritengo quasi indispensabile), la conduzione di una compagine corale chiama in causa la gestione di una serie di fattori che occorre padroneggiare con maestria: la vocalità, il timbro, il gesto, la gestione delle prove, la leadership, l’assegnazione delle parti, la psicologia del coro, il galateo corale, gli aspetti retributivi e la legislazione in materia artistica, solo per citarne alcuni. Non siamo così distanti da ciò che Conrad von Zabern scriveva nel 1474 nel suo De modo bene cantandi2, quando riassumeva in sei punti i requisiti indispensabili ad una buona compagine corale, esigibili e dunque esigendi a chi vi si pone alla guida: concorditer cantare (cantare cioè con una sola voce e un solo spirito), mensuraliter cantare (rispettare l’esatta durata delle note), mediocriter cantare (scegliere un registro vocale medio, cioè non insistere nei registri estremi), differentialiter cantare (conformare lo stile di canto alla circostanza liturgica), devotionaliter cantare (cantare con devozione), satis urbaniter cantare (cantare con eleganza e decoro). A questi requisiti si aggiungono quelli che erano già propri del cantor medievale3, oggi mutuati dal moderno agente di spettacolo: la retribuzione dei professionisti e il loro inquadramento secondo le vigenti leggi dello Stato in materia.
Competenze compositive
Se è pur vero che la figura professionale del compositore non è tout court correlata con la direzione di un ensemble e che un direttore esegue più spesso musiche non di composizione propria, è altrettanto vero che un direttore di coro si forma oggi anche attraverso specifici esami di composizione corale proprio per la singolare natura del suo ‘strumento’. Queste ultime competenze divengono più impellenti in un contesto nel quale l’adattamento alle specifiche esigenze rituali, ambientali e di organico impone di avere una conoscenza sufficiente dell’armonia, del contrappunto, delle forme e degli stili, non solo per la necessità di produrre talvolta brani specificamente confezionati per una data celebrazione o un dato momento liturgico, ma anche per saper adattare, elaborare e ‘cucire’ quanto già in repertorio alle esigenze del rito, spesso estemporanee.
Competenze storico-repertoriali
La musica nella liturgia ha una fisionomia propria: è fatta di generi, di forme e di elementi specifici. Dal canto gregoriano alla musica sacra contemporanea, dai recitativi e falsobordoni al corale, dal responsorio all’inno, dal latino alle lingue moderne, solo a titolo d’esempio: un repertorio che deve essere conosciuto e praticato, senza preclusioni e senza storture. Per intenderci: chi varca la soglia di una chiesa per dirigerne la musica, non può non conoscere almeno la notazione quadrata e avere qualche rudimento di semiologia gregoriana; deve avere chiare le forme, soprattutto quelle esclusive della liturgia, come i recitativi (ben altro da quelli omonimi presenti nell’opera lirica); deve conoscere la lingua latina e i suoi aspetti prosodici. Un ambito che ritengo molto importante, sebbene certo specialistico e non strettamente essenziale, è quello legato in genere alla musica antica. Il repertorio della musica da chiesa è antico quanto la chiesa stessa e ci è testimoniato da documenti musicali da almeno una dozzina di secoli: navigare in questo maremagnum non può prescindere del tutto dalla conoscenza della semiografia relativa. Pur senza lanciarsi in arditezze musicologiche, chi occupa il posto di maestro in istituzioni musicali antiche e prestigiose non può esimersi dalla responsabilità di essere in qualche modo, al pari dei suoi predecessori, custode e divulgatore del patrimonio conservato negli archivi annessi alle stesse realtà istituzionali.
Competenze didattiche
I cori liturgici e le cappelle musicali che vantano la presenza di voci bianche sono realtà rare. Gli ultimi anni hanno però visto la rinascita o l’avvio di esperienze di questo tipo, nelle quali cappelle cattedrali o semplici parrocchie si sono impegnate a riprendere la formazione di giovani e giovanissimi cantori di ambo i sessi. Se è pur vero che la dimensione didattica si esprime anche nei confronti dei cantori adulti, l’educazione musicale di un bambino o di un adolescente è una responsabilità ancor più delicata, non solo per le componenti fisiologiche e psicologiche specifiche — di fronte alle quali non ci si può improvvisare senza il rischio di cagionare danni permanenti —, ma anche per la scelta dell’eventuale collocazione nel coro al fianco dei cantori maturi. Chi si addentra in questa esperienza straordinaria non può prescindere da una formazione e un tirocinio maturati accanto a maestri capaci ed esperti (e non basta essere cantanti per saper formare i bambini al canto). Il consiglio è di affidarsi a didatti e vocalisti del settore, ai quali il direttore si affianca e coi quali interagisce nelle scelte e nelle valutazioni. Educare i bambini è un’operazione difficile e delicata, ma straordinariamente ricca. La mia esperienza mi ha insegnato che non ci sono repertori o codici linguistici preclusi alle voci bianche: un bambino canta il gregoriano con la stessa passione di una filastrocca e legge la notazione quadrata con la stessa facilità di quella moderna, purché alle spalle abbia un maestro capace e coinvolgente che lo spinge con passione e pazienza.
Competenze liturgiche
La familiarità con la liturgia — intesa non solo come conoscenza del magistero e dimestichezza rubricale, ma anche come interiorizzazione rituale — è materia primaria per chiunque intenda agire in essa, dal clero all’ultimo responsabile del più umile ministero liturgico. Se è vero l’antico adagio che dice lex orandi statuit legem credendi, allora potremmo ampliare dicendo lex canendi statuit legem orandi: il canto liturgico plasma la preghiera, che a sua volta è norma della fede, e non può essere frutto maldestro di una spavalda incompetenza. Questo vale innanzitutto per il clero, che non può permettersi (e che troppo spesso si permette, vescovi in testa) di essere bestia nella liturgia, secondo l’espressione con cui Guido d’Arezzo, nel suo Prologo alle Regulæ rythmicæ, distingue il cantor dal musicus: «qui facit quod non sapit diffinitur bestia4»
Al termine di questa carrellata inevitabilmente sintetica, potrà forse sorgere il sospetto che quanto richiesto sia eccessivo e che dopotutto non serva essere dei novelli Palestrina per condurre un coro parrocchiale. Occorre però entrare nel proprio ruolo con l’umiltà di chi tende all’alto e non con la presunzione di chi punta al ribasso, spronarsi ad una formazione continua ed esigente, avere coscienza del rito quanto del proprio gesto, del proprio gusto quanto dell’oggettività celebrativa, educare i cantori non solo a dare il meglio, ma a cercare di andare sempre oltre. Ed infine entrare nella liturgia in punta di piedi: con lo stupore di un bambino e l’esperienza di un vegliardo.
1. Si veda a riguardo ARNALDO MORELLI, Concorsi organistici a San Marco e in area veneta nel Cinquecento, in La cappella musicale di San Marco nell’età moderna, Atti del Convegno Internazionale di studi, Venezia – Palazzo Giustinian Lolin, 5-7 settembre 1994, a cura di Francesco Passadore e Franco Rossi, Venezia 1998, pp. 259-278.
2. Il documento è consultabile online: http://nbn-resolving.de/urn/resolver.pl?urn=urn:nbn:de:bvb:12-bsb00041526-7
3. Il codice LIII dell’Archivio Capitolare di Vercelli (I-VCd), libro ordinario della chiesa vercellese scritto nel 1372, tra i compiti del cantor specifica «[cantor] nummos in choro semper debet distribuere».
4. «Chi fa ciò che non conosce si definisce bestia»: GUIDO D’AREZZO, Le opere, introduzione, traduzione e commento a cura di Angelo Rusconi, Edizioni del galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, Firenze, 2008, p. 88.
(La formazione: il direttore di coro liturgico)