È noto che le ‘prime volte’ sono dotate di un mix di preoccupazione, adrenalina, voglia di far bene. Così, anche questa nuova rubrica per il numero 1 di una nascente rivista non si è sottratto dal produrre gli effetti di cui sopra: uno spazio per parlare della Tecnica direttoriale dovrà preoccuparsi – a mio avviso – di affrontarne i vari aspetti, come un libro costantemente ‘in costruzione’. Ecco dunque che la ricetta a cui ho pensato è quella del brainstorming, una sorta di piano editoriale commentato cui si rifaranno gli ospiti di Dirigo quando dedicheranno esperienza e competenza ad approfondire i seguenti temi (e altri che, certamente, verranno alla mente). Iniziamo dai primi 10 punti, non certo in ordine di importanza:
Tecnica classica e Tecnica del Punto focale
Uno dei temi principali di dibattito nell’ultimo decennio tra i docenti di Direzione è il confronto, talvolta acceso, tra i sostenitori della tecnica classica e coloro che trovano migliore quella del punto focale. Entrambi hanno un ‘piano di lavoro’ su cui la mano che scandisce il tempo si muove, ma sostanzialmente i primi distribuiscono le pulsazioni in punti simmetrici rispetto al centro (con la mano destra: il primo al centro, il penultimo esterno a sinistra, l’ultimo verso l’alto, gli eventuali ulteriori movimenti equamente distribuiti bipartisan tra destra e sinistra), gli altri ‘battono’ le pulsazioni tutte al centro e i rispettivi ‘rimbalzi’ oscillano tra destra e sinistra a seconda di quale movimento si sta mostrando. Anche in questo caso gli ultimi due sono l’esterno sinistro e quello verso l’alto, per preparare adeguatamente la misura successiva. Ognuno dei due approcci ha i suoi pro e contro, l’importante è la chiarezza funzionale al fraseggio e su questo sono concordi gli interpreti, che la pretendono.
Gesto attivo e Gesto passivo
Quale che sia la tecnica adottata per mostrare la scansione ritmica è senza dubbio più importante il cosa ‘non fare’, piuttosto che l’azione stessa. Innanzitutto, non disturbare o essere d’intralcio al fluire della Musica e dei messaggi che essa vorrebbe trasmettere attraverso gli esecutori. In questo senso è particolarmente efficace la scelta del gesto passivo, quello che limita la ‘presenza’ del direttore ‘lasciando fare’ ai cantori e agli strumentisti. Certo richiede preparazione, responsabilità, intesa, capacità… in definitiva, enorme fiducia e stima tra tutti gli attori in campo, di cui il maestro è ‘coordinatore’ piuttosto che ‘impositore’. Questo limita il ruolo del direttore? È senza dubbio sufficiente osservare con attenzione l’interpretazione dell’Allegro con spirito conclusivo della Sinfonia n. 88 di F. J. Haydn a cura della Cleveland Orchestra diretta da Leonard Bernstein per rendersi conto di quanto la leadership resti indiscussa, nonostante (o meglio ‘grazie alla’) conduzione solo con lo sguardo e la mimica facciale. Per rintracciarla, googlare ‘Bernstein dirige con gli occhi’ e il gioco è fatto!
Vocalità
Il direttore di coro lavora con le voci, ma non è necessariamente un cantante. Anche il direttore d’orchestra guida gli strumentisti, ma non saprebbe suonare – nella gran parte dei casi – ogni strumento di quelli che conduce. Certo, ma ha studiato approfonditamente ‘orchestrazione’, conosce i limiti e le virtù di ognuno di essi. Ecco, il direttore di coro non può esimersi da avere conoscenze vocali specifiche, non solo per potersi mettere egli stesso ‘dall’altra parte’ quanto più possibile (la qual cosa è senza dubbio enormemente formativa), saper esemplificare in modo utile, ma anche per sapere cosa chiedere, come chiederlo, educare, come farlo, ottenere il massimo a partire dal materiale umano con cui interagisce, non inibire (anzi, disinibire), attrarre a sé il massimo della credibilità da parte dei cantori con cui affronterà il ‘viaggio’ dalle prove all’esecuzione.
Postura
Ogni strumentista studia come porsi rispetto al proprio strumento; spesso i docenti non concordano su ‘come’ farlo, ma tutti ritengono che non ci si possa esimere dal porsene il problema e trovare i modi per risolverlo. Se è vero, come è, che il direttore di coro è strumentista (e il coro che guida è il suo strumento), il sillogismo non può non portare all’esigenza di avere una forte e fondata consapevolezza corporea investendo molto sulla postura utilizzata durante l’attività. Questo non solo per prevenire danni fisici (un po’ come il modo di sedersi dell’impiegato davanti al terminale per parecchie ore/giorno), ma anche e soprattutto per ottenere il miglior ‘suono’ dall’ensemble che istruisce e dirige. No alle rigidità, sì all’equilibrio; no agli ‘scatti’, sì alla fluidità… e così via.
Analisi e Composizione
Tasto dolens. Poniamo anche che il bravo direttore si sia ben allenato nei punti precedenti, ma se non ha nulla da ‘dire’? È evidente quanto ogni esercizio ‘fisico’ diventi vano. Come sia possibile porsi davanti a un gruppo di persone, magari anche amatori della Musica, ma professionisti nei più svariati ambiti della società, senza avere studi approfonditi di composizione, arrangiamento, analisi musicale specialmente riguardo al repertorio da affrontare… ecco tutto questo è un mistero insondabile. Si tratta principalmente di dignità verso sé stessi, ma anche di una buona dose di rispetto verso chi si ha di fronte. Talvolta (si legga: spesso/sempre) non bastano l’impegno, l’energia, il ‘darsi da fare’, bensì onestà, desiderio di mettersi in discussione, di crescere come individui, prima ancora del volteggiare sul podio. Fondamentale, dunque, trarre beneficio dallo studio dei compositori del passato e del presente per creare i direttori del futuro!
Tecniche di direzione alternative
Chi ha lavorato con cori non professionali, specialmente di voci bianche/giovanili o dedicati all’inclusione, sa che la cosa fondamentale è stabilire un linguaggio condiviso con cui capirsi e comunicare. ‘Condiviso’, appunto, non necessariamente ‘convenzionale’. Negli ultimi anni si sono diffusi maggiormente anche in Italia (grazie a un enorme lavoro di divulgazione operato dalle più importanti cattedre di direzione e dal mondo associazionistico corale) linguaggi e utilizzi del gesto manuale alternativi molto utili e produttivi nella direzione del coro. Si pensi alla chironomia Kodaly, alla LIS (lingua dei segni), all’utilizzo della body percussion, per arrivare fino all’enorme diffusione delle coreografie corali. Cosa le accomuna tutte? Senza dubbio la ricerca di far proprio il gesto, dunque ‘cantare’ attraverso tutto il corpo, abbattendo ogni tensione. Punti importanti su cui riflettere anche quando, soprattutto nel repertorio autoriale e/o storico, tali ‘alternative’ non sono contemplate.
Aspetti psicologici
Dirigere richiede impegno, passione, dedizione, tanto studio, ma in ultima analisi, si tratta di un gesto di Amore. Un trasporto più o meno controllato continuamente dentro e fuori dalla partitura, dalla Musica che attraverso di essa si realizzerà con la performance. Amore che è irrazionale, per definizione, ma che si deve interfacciare con la razionalità insita negli studi. Amore che richiede fiducia, che necessita il coraggio dell’abbandono. Un abbandono consapevole che coinvolge il direttore, gli interpreti e chi li sta ad ascoltare. Un ascolto che deve muovere emozioni, altrimenti non è Amore, ma la sua più grande antagonista, la Noia. Per raggiungere queste grandezze e scongiurare il peggio non si può non lavorare su sé stessi, cercando e ricercando ogni mezzo per riuscire ad abbattere muri e impedimenti. La Musica dev’essere interrogata e deve poterci interrogare… senza filtri.
Storia e Ricerca
Conoscere il background socio-storico-culturale non soltanto dei brani oggetto di studio (di fondamentale importanza), ma anche del coro che ci ha scelti come direttori, può dare incredibili spunti di ricerca, di approfondimento, di miglioramento. Aiuta a comprendere le scelte, non sempre felici, operate fino ad oggi e trarre suggerimenti su quelle ancora da prendere. Consente di trovare filoni interpretativi, ganci, linee guida per dare coerenza ai programmi concertistici, alle impronte didattiche a rendere, in definitiva, intrigante ciò che si fa. Certo, non è fondamentale, ma crea interesse, stimola l’attenzione, dà quel ‘di più’ che attrae. Da non sottovalutare, non soltanto per quanto riguarda la coralità di impronta popolare, ma anche (e qui sta la vera sfida) quella cólta.
Il coro amatoriale
L’Italia conta migliaia di cori, di ogni estrazione. Sono tutte comunità, piccole o grandi, in cui si fa cultura e si impara (non sempre, ma è di buon auspicio affermarlo) a convivere civilmente e a porsi a disposizione di un obiettivo superiore. L’amatore ‘ama’ ciò che fa, non canta per stipendio, ma spesso sa approfondire e dare enormi soddisfazioni. Generazioni diverse con interessi e aspettative tra le più disparate si incontrano nello spazio-tempo corale, tutti pronti a dare il massimo per star bene insieme, ancor prima e ancor più che far contento il pubblico. Una enorme risorsa che, se sapientemente orchestrata e guidata potrebbe essere un’eccellenza del Bel Paese. Certo occorrono e occorreranno guide capaci, ma vogliamo essere benpensanti e speranzosi.
Concerti VS Concorsi: il saper Condurre
Mondi diametralmente opposti per quanto riguarda le strategie di preparazione del coro. I concerti sono per tutti; i concorsi sempre più per pochissimi, di alto profilo e rivolti a una coralità ‘amatoriale’ che di ‘non professionistico’ ha, ormai in molti casi, solo le autocertificazioni di non percezione economica da parte degli interessati. Entrambi, però, rappresentano una gigantesca vetrina corale che consente a chiunque (anche esterno al mondo corale) di ascoltare tutti, quindi di trarre ispirazioni, operare confronti, crescere. Il direttore non può restare ‘chiuso’, bensì deve girare, farsi un’idea delle proposte disponibili, aggiornarsi, cogliere stimoli. Deve vincere la pigrizia della coscienza per cibare il proprio ‘Essere corale’ dei migliori menù disponibili (oltre che conoscere i peggiori, per poi evitarli). In definitiva deve… condursi per condurre!