Cesare Tudino Missa pro defunctis 1589 et Mottetti
È di recente pubblicazione per l’etichetta discografica Baryton il CD dal titolo: «Cesare Tudino Missa pro defunctis 1589 Mottetti».
L’esecuzione è affidata al gruppo vocale e strumentale Compagnia Virtuosa. A dirigerlo è Walter Testolin, esperto nel repertorio del Rinascimento, che ha dimostrato nel corso della sua carriera privilegiati interessi per la produzione madrigalistica.
L’iniziativa nasce su impulso di Chiara Leonzi, direttrice musicale della Compagnia Virtuosa, nonché studiosa sulle tracce di un patrimonio abruzzese largamente dimenticato, in particolare di un compositore di misconosciuta fama come Cesare Tudino.
Nei migliori propositi, il CD non intende costituire un’esperienza isolata, ma inserirsi in un composito piano di attività, il Tudino Project, che nel binomio di ricerca musicologica e ‘prassi filologicamente informata’, prevede trascrizioni, convegni, concerti e registrazioni sull’opera di un musicista a torto ignorato sia dalle ricognizioni della memoria storica, sia nei programmi delle sale da concerto.
Si tratta dunque di restituire voce a un compositore, la cui parabola artistica è tanto più interessante quanto più sembrerebbe condannata a estinguersi in un destino marginale. Vissuto nella seconda metà del Cinquecento, egli assurge ancora giovane alle ribalte romane della basilica di San Giovanni in Laterano, ma si ritira infine nel paese d’origine, lo stato di Atri, in una dimensione solo apparentemente umbratile. Lì i duchi Acquaviva d’Aragona, signori della città e intellettuali a propria volta, operano con generosità da mecenati: sotto il loro governo, Atri diviene un «polo di attrazione di letterati, musicisti, pittori, architetti, filosofi, tra i più importanti d’Italia», come precisa Marco Della Sciucca nella cornice storica posta a inquadramento della sua nota introduttiva. In questo caso, quindi, la condizione periferica non sottrae spessore alle esperienze, né intensità agli scambi culturali. Offre piuttosto un punto d’osservazione tutt’altro che banale, che consente di rimeditare alla distanza sui fattori e sui processi di trasformazione che investono le dinamiche dell’arte coeva.
Né il decentramento localistico circoscrive a un orizzonte provinciale la circolazione delle opere di Tudino, che conoscono anzi un buon successo editoriale, prima con gli stampatori romani Valerio e Luigi Dorico che ne presentano il primo libro di madrigali a cinque voci, in seguito sotto i torchi veneziani di Giacomo Vincenti, con la pubblicazione del primo libro dei mottetti a cinque voci e del primo libro delle messe, ancora una volta nella canonica compagine delle cinque voci. È, del resto, proprio da Venezia che Gardano, Scotto, Amadino e altri ancora assieme allo stesso Vincenti competono su un vivace mercato, favorendo la disseminazione del repertorio italiano. La vicenda del musicista s’incrocia dunque con l’evoluzione di un’industria tipografica rivoluzionata dalla tecnica dell’impressione unica e ormai in grado di produrre ad alte tirature le composizioni che ricevono il privilegio della stampa, esportando nel resto d’Europa con la garanzia di un’ampia diffusione. Né la fortuna di Tudino è esente da una propagazione manoscritta, ancora saldamente in uso nel circuito musicale nonostante il decollo dell’editoria. Secondo la notizia riportata da Walter Testolin nelle note a corredo del CD, con la Missa pro defunctis il nome del musicista ha l’onore di affiancarsi nello stesso codice a quelli di Orlando di Lasso e Tomás de Victoria e, come attesta l’esemplare ritrovato ad Augusta, penetra negli ambienti di una borghesia internazionale che la ricchezza orienta verso stili di vita sempre più raffinati.
Il programma del CD restituisce alla sensibilità moderna una parte del corpus recuperato: la Missa pro defunctis a cinque voci e alcuni mottetti. Ne emerge il ritratto di una personalità originalmente connotata, le cui opere non si lasciano catalogare negli ordinari parametri della cosiddetta produzione minore. Pur nella compostezza che si deve al repertorio sacro e nell’osservanza dei paradigmi esemplati sul modello di Palestrina, la scrittura di Tudino non si sottrae allo sperimentalismo. Si dimostra anzi disponibile ad attingere ad artifici retorici d’ascendenza madrigalistica, con le dialettiche di bilanciamento dei volumi fra le sezioni affidate ai tutti e le aree di rarefazione sonora, con la divaricazione fra grave e acuto nella simultaneità dei registri, talvolta col ricorso al cromatismo e alla dissonanza, in ogni caso con un’espressività in stretta relazione con i significati del testo. La ricerca stilistica si pone, dunque, in linea con le più avvertite tendenze dell’epoca, in un processo d’osmosi e contaminazione in atto ormai da decenni, che vede coinvolte le forme più alte della musica coeva, l’una in campo profano, l’altra in ambito sacro: il madrigale e il mottetto e, per suo tramite, la messa. A riprova dello spirito dei tempi, a inizio del Seicento un trattato come Il melone di Ettore Bottrigari sussume ambedue le forme sotto il comune appellativo di «cantilene»: «cantilene che oggidì sono in uso, volgarmente nominate madrigali e mottetti».
L’interpretazione qui proposta da Walter Testolin e dalla Compagnia Virtuosa, segue il dettato del musicista con attenzione filologica e, per un verso, coglie l’organicità di un approccio sostanzialmente coerente, d’altro canto individua ed esalta la fisionomia peculiare di ogni singolo brano. Cesare Tudino Missa Mottetti
Nei mottetti, fin dall’entrata a canone che introduce in un’atmosfera d’assorta solennità, l’esecuzione è particolarmente attenta a calibrare le dinamiche espressive in un sorvegliato gioco di sfumature che rifugge dai netti contrasti tra il forte e il piano e che lascia emergere dall’intreccio della polifonia maestosi effetti di spazializzazione del suono.
Nel Da pacem, Domine particolarmente degni di nota sia la tensione patetica del cromatismo, sia l’impasto timbrico della conclusione, con il divergere fra acuto e grave nelle voci all’estremo dei registri. Nel Pater noster, al termine di un andamento contrappuntistico che diviene via via più mosso pur nella compostezza dello stile severo, l’interpretazione di Testolin evidenzia efficacemente il prolungarsi a eco della nota al bassus, l’unica a risuonare nel silenzio delle altre parti, marcando il passaggio alla sezione finale: una soluzione ancor più incisiva, se considerata in rapporto a una condotta di scrittura che preferisce in genere la continuità del tactus.
In altri casi, la misura esecutiva trova la chiave di una tenue, rarefatta eleganza. Così accade in Hodie nobis de coelo, dove la trasparenza della tessitura acuta e la leggerezza delle volute melodiche si pongono in mimesi madrigalistica col cielo evocato dal titolo e con il contenuto del testo. Ugualmente avviene in una pagina di perfetto equilibrio, O sacrum convivium, con la dolcezza e l’ariosità degli incisi che fluiscono da un registro all’altro con ininterrotta uniformità.
Ancor maggiore l’impegno per la struttura ad ampio respiro del Requiem. La versione scelta è attestata nella stampa di Vincenti del 1589, con la cauda di un mottetto, Ego sum resurrectio et vita, che si aggiunge alle parti liturgicamente previste per il Proprium missae. Per questa via, la direzione di Walter Testolin arriva a cogliere ed esaltare l’origine ispirativa dell’opera nell’abbandono a una religiosità confidente anche oltre il bilico della morte, in sincera adesione all’ascesi controriformata. L’arco della messa si tende fra due estremi parimenti luminosi. Da una parte si dispone l’Introitus, con la limpida dizione del cantus firmus al tenor, intorno a cui s’avvita in assorta serenità il contrappunto delle altre voci. All’estremo opposto, si colloca il mottetto di congedo, ugualmente sospeso in estatica lentezza, su cui però s’innesta lo slancio ascendente di brevi disegni a note nere, in festosa dialettica di madrigalistico sapore.
Al centro della parabola e al culmine di un trapasso prima di tutto spirituale, si consuma invece il dramma dell’anima in mezzo al guado, con l’invocazione a Domine Jesu Christe. L’interpretazione di Testolin e della Compagnia Virtuosa ne restituisce con rigore la complessità, inerpicandosi in una pagina impervia, attraversata dall’asprezza delle dissonanze e da una polifonia che ordisce le parti in una trama timbrica di profonda suggestione, con le voci gravi spesso in ipobole e quelle acute che spiccano nelle zone più alte del registro, come a cercarvi metaforicamente la luce.
Il CD merita un ascolto attento e reiterato.
Cesare Tudino Missa Mottetti
Cesare Tudino Missa Mottetti
Cesare Tudino Missa Mottetti