In una suggestiva congiuntura, al termine del risonare degli ultimi accenti dei cori partecipanti alla 71ª edizione del Concorso Polifonico Guido d’Arezzo, il M° Luigi Marzola si è concesso a un colloquio domenicale. Tra le pieghe di una serata di gala avvolta da un sontuoso banchetto offerto con la generosità della Fondazione, è avvenuto un dialogo informale, una scelta che giustifico come alternativa a formali questionari, spesso intrappolati nella recita preordinata tra domande e risposte.
AA: Caro Luigi, la tua esposizione relativa alla realizzazione dell’impianto di riverberazione naturale presso l’Auditorium CAURUS è stata dettagliata e illuminante. L’apprezzamento, però, è risultato variegato: ad alcuni ha colpito positivamente, ad altri meno. Se mi soffermo sulla bilancia dei pro e dei contro, l’asticella pende in modo inequivocabile verso il versante positivo. In quanto professionisti che hanno intrapreso viaggi nel panorama internazionale, abbiamo avuto modo di esplorare le rinomate sale da concerto dell’Asia orientale, dalla Cina al Giappone, a Taiwan e alla Corea. Questa esperienza ci ha offerto una chiara percezione dell’attenzione maniacale riservata all’acustica naturale, manifestata nell’uso sapiente di materiali come il legno e nell’armonizzazione del palcoscenico, il quale, in posizione inferiore rispetto alla platea, è spesso impreziosito da una volta a cupola e da altre affinate caratteristiche. Al contrario, in Italia permane un vuoto in termini di cultura per la concezione di sale dedicate ai repertori sinfonici e corali. Infatti, i sontuosi teatri d’opera nostrani, in genere, non presentano le peculiarità che li renderebbero idonei per l’esecuzione della musica corale a cappella. Pertanto, ho accolto con fervente apprezzamento ogni sforzo volto a perfezionare le condizioni acustiche all’interno dell’auditorium, dove si sono svolti i delicati momenti delle prove concorsuali. Tuttavia, giungiamo a una questione cruciale. Non hai mai avvertito una nota di rammarico per il fatto che un coro che giunge in una ridente città storica come Arezzo non sia immerso nel magnifico contesto architettonico e culturale che il Polifonico avrebbe potuto riservargli, semplicemente permettendo che si esibisse in prestigiosi ambienti storici? In effetti, l’Auditorium CAURUS potrebbe trovarsi in qualsiasi periferia cittadina, non limitata esclusivamente al territorio italiano. Sorge spontanea l’interrogativo se, almeno la categoria ‘Musica Sacra’, tornando alle radici privilegiate, ovvero le Chiese, potrebbe restituire quell’ineffabile richiamo che la città di Arezzo, di diritto, merita.
LM: Andrea, ti ringrazio per la tua interessante domanda! La questione che hai sollevato è stata oggetto della mia attenta riflessione già prima di intraprendere l’organizzazione di questa edizione del Polifonico. Mi sembrava fondamentale, e anzi lo definirei un mio autentico desiderio, che le diverse categorie fossero collocate nelle sedi più adatte dal punto di vista acustico e, ancor di più, da una prospettiva che valorizzasse il ricco patrimonio storico-architettonico di Arezzo. In questa città, infatti, si trovano chiese straordinarie con una resa acustica perfetta. Un esempio è la chiesa di San Domenico, che ha ospitato il concerto inaugurale e ha dimostrato di possedere un’acustica ideale. Tuttavia, l’aspetto organizzativo ha presentato un notevole scoglio da superare. La complessità e l’onere finanziario che avrebbe comportato collocare tutte le attrezzature tecniche necessarie (come le regie per lo streaming) sia in una sede che in un’altra, insieme alle difficoltà logistiche di allestire e smontare tali apparecchiature, sono state considerazioni cruciali. Questo dilemma mi ha spinto a effettuare delle scelte ponderate. Personalmente, ho ritenuto di primaria importanza, e lo considero ancora oggi una mia decisione fondamentale, restituire alla città una risorsa di cui molti aretini non erano consapevoli e che si presentava inutilizzabile per i cori senza l’implementazione di questo sistema. Era emerso infatti da un’edizione passata del concorso nazionale, a cui non avevo preso parte, che l’acustica originale dell’auditorium aveva penalizzato notevolmente l’ascolto. In altre parole, la sala era stata progettata seguendo il modello classico degli auditorium italiani, focalizzati principalmente sulle conferenze e l’amplificazione della voce parlata.
Dopo un’attenta valutazione dei sistemi di riverberazione ambientale e l’ottenimento di rassicurazioni sulla stabilità del volume sonoro, ho deciso di affrontare l’esperienza. In passato, ho portato al CAURUM una lezione della scuola di direzione, accompagnata da un coro che ha svolto un ruolo di laboratorio per gli studenti. Durante le loro attività, ho avuto l’opportunità di testare il sistema dopo un lungo processo di preparazione. Il feedback ricevuto è stato estremamente positivo e ha contribuito a consolidare la mia decisione. Di conseguenza, ho scelto di utilizzare questa sala come unica location (esclusi il concerto di apertura e la categoria musica popolare, che si è svolta nella Fortezza) per l’intera 71ª edizione del concorso.
Le implicazioni positive di questa scelta si estendono anche al piano logistico, garantendo numerosi vantaggi come la presenza di numerosi servizi igienici, spazi per i cambi d’abito dei cori, un ampio parcheggio per i mezzi dei gruppi corali e per le auto degli spettatori e un sistema di aria condizionata che ha indubbiamente migliorato il comfort di tutti coloro che hanno partecipato alle lunghe sessioni al chiuso, che altrimenti sarebbero state ardue a causa del calore. Tutte queste considerazioni rappresentavano sfide che non potevo trascurare.
Potremmo aver valutato la possibilità di svolgere la sezione dedicata a Byrd, focalizzata prevalentemente sulla musica sacra e che coinvolgeva solamente quattro cori, all’interno di una chiesa. Nonostante le eventuali sfide climatiche, considerando comunque che avremmo concluso le attività intorno alle 10:30, gli svantaggi sarebbero stati minimi. In tal senso, condivido pienamente questa prospettiva. Tuttavia, è importante notare che esistono molteplici opzioni disponibili, tra cui la Pieve. Va sottolineato che qui sorge un’altra problematica: il suono dei tamburi che accompagnerebbe Palestrina durante le prove del “Saraceno”. Dovremmo essere disposti ad accettare questa circostanza e il rumore in lontananza. Alla fine, valutando tutti gli aspetti, i pro hanno superato i contro. Sono soddisfatto di questa scelta, e se necessario, sono aperto a piccole variazioni.
AA: Un altro aspetto che riscontro sempre più frequentemente nei contesti concorsuali riguarda la notevole riduzione della presenza di cori composti da cantori che hanno superato la soglia degli “anta”. Questo argomento merita sicuramente un’analisi più approfondita, ma per affrontarlo in maniera pragmatica, è innegabile che nei concorsi si assista raramente alle esibizioni di cori composti da coristi quarantenni, cinquantenni o oltre. Sia in termini di partecipazione che di successo, l’ambiente corale competitivo sta assumendo sempre più somiglianze con quello sportivo, dove la prestanza fisica svolge un ruolo di rilievo. D’altronde, le capacità vocali tendono a declinare con il passare degli anni e la complessità dei repertori contemporanei, sovente eseguiti a memoria, risulta spesso inaccessibile a coloro che non sono più abituati a impegnarsi nello studio e nella memorizzazione come durante i tempi universitari. Inoltre, i tempi serrati e lo stress delle competizioni risultano più tollerabili per chi è nella prima parte della sua vita adulta.
Emerge quindi un dato significativo: da anni a questa parte, non ho avuto occasione di vedere un coro composto da persone della nostra età trionfare in alcun concorso. In luce di ciò, sorge una domanda legittima: non potrebbe essere opportuno, anche per Arezzo, prendere spunto da diverse altre competizioni e istituire una categoria “senior”? Questa iniziativa potrebbe offrire ai cori più maturi la possibilità di gareggiare tra loro, mettendo in luce caratteristiche simili e consentendo l’esplorazione di repertori più accessibili in termini di complessità, senza tuttavia privarli di un fascino e di una rilevanza artistica di certo pregio.
LM: Devo ammettere che fino ad ora non avevo mai preso in considerazione questa prospettiva. È importante considerare che sono entrato in questa posizione solo l’anno scorso, ed è la prima volta che mi occupo completamente dell’organizzazione del concorso. Pertanto, questo aspetto non mi era mai venuto in mente. Tuttavia, ritengo che la predominanza di cori con una composizione giovanile sia un segnale positivo, indicativo dell’attuale cambiamento generazionale. Finalmente, stiamo assistendo all’aumento del livello di cultura musicale corale tra i giovani (ed è incoraggiante vedere che i giovani stessi iniziano a partecipare attivamente). Al contrario, potrebbe essere che i cori più maturi non siano ancora adeguatamente rappresentati in questo contesto. Forse dovremmo aspettare che questi giovani crescano ed acquisiscano più esperienza nel corso del tempo… ma è sicuramente una prospettiva interessante su cui riflettere. Ti ringrazio per aver sollevato questa questione.
AA: Desidero sollevare con te una questione riguardante le giurie nei concorsi corali, che solitamente sono composte da eccellenti direttori di cori di rilievo. Questo implica spesso un’alternanza di ruoli per le stesse persone: un anno guidano un coro partecipante, mentre magari l’anno successivo o quello precedente, o a volte dopo vari anni, si trovano a far parte della giuria dove partecipa il coro di chi l’aveva precedentemente giudicato. Pur essendo convinto dell’onestà di tutte le persone coinvolte, ebbene sì, poiché anch’io svolgo questa professione e ho sempre riscontrato un alto grado di serietà professionale, talvolta mi chiedo se non sarebbe vantaggioso avere una distinzione più marcata tra i direttori dei cori partecipanti e coloro che sono principalmente dedicati alle attività di valutazione. In un certo senso, potrebbe essere paragonato alla separazione auspicata tra giudice e pubblico ministero nel sistema giudiziario. Qualcuno potrebbe sostenere, a ragione, che i direttori di cori di alto livello possiedono indubbiamente le competenze necessarie per giudicare in modo obiettivo gli altri. Tuttavia, ritengo che sia un tema degno di discussione.
LM: È un aspetto che sto ponderando. Va notato che, nel contesto di questo ambito amatoriale, rivesto una posizione un po’ periferica: ho diretto anch’io cori amatoriali e ogni tanto continuo a farlo, tuttavia ho dedicato gran parte della mia attività alla preparazione di cori professionali. Dall’esterno, osservo queste dinamiche in cui non riscontro nulla di particolarmente insolito. Tuttavia, comprendo che un anno potresti essere tu a far parte della giuria, mentre l’anno seguente potrei essere io, generando così una sorta di rete interconnessa. Sto facendo del mio meglio per mantenere un’attenzione critica su questa questione. Infatti, la giuria di quest’anno è stata principalmente composta da musicisti che non esercitano un’influenza diretta nell’ambiente corale italiano. Sto riflettendo su questo aspetto con l’obiettivo di rendere sempre più qualificata la giuria, conferendole un carattere più professionale e meno basato su eventuali opportunismi.
AA: La successiva questione si lega alla situazione politica internazionale, dove esiste attualmente un considerevole segmento del panorama corale che, a causa di conflitti armati o di tensioni significative, è escluso dalla partecipazione a festival e concorsi. Questa situazione potrebbe protrarsi per molti anni a venire. Dal tuo punto di vista di professionista musicale, ritieni che dovremmo promuovere la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti o dovremmo invece concentrarci su chi sta subendo ingiustizie, offrendo un sostegno ai più vulnerabili?
LM: La tua domanda è di grande rilevanza e ammetto che non posso fornire una risposta definitiva, poiché mi mancano elementi indiscutibili. Ciò che posso condividere è che storicamente il Concorso di Arezzo ha goduto di un’ampia partecipazione, specialmente nelle edizioni più recenti precedenti alla pandemia e ai conflitti bellici, anche da quella parte dell’Europa orientale, che è notoriamente ricca di tradizione e cultura corale, con paesi come la Russia, l’Ucraina e la Polonia. È evidente che abbiamo avvertito l’impatto negativo derivante dall’assenza di questi cori. L’anno scorso, ad esempio, un coro da Kiev è giunto ad Arezzo nonostante le circostanze difficili legate alla guerra. Abbiamo cercato di accoglierli nel modo migliore possibile, riservando loro il concerto di apertura del Festival.
Non posso approfondire eccessivamente tali dinamiche, ma è innegabile che solo il pensiero di avere affetti collocati in una situazione così complessa porti con sé una drammaticità difficile da sopportare. Non entro nel merito delle questioni politiche tra Russia e Ucraina, ma nutro la speranza che questa terribile situazione possa risolversi al più presto. Inoltre, ritengo che le narrazioni ufficiali potrebbero non riflettere completamente la realtà, poiché vi sono dinamiche di potere che si basano su motivazioni ben poco nobili. La guerra è da sempre associata a interessi economici considerevoli, e non possiamo ignorare che alcune nazioni storiche sono state coinvolte in conflitti in varie parti del mondo dal secondo dopoguerra in poi. Pertanto, non credo che certe cronache provenienti da diverse fonti possano essere accettate con leggerezza.
Questa è la mia opinione, e spero sinceramente che tali problematiche possano essere risolte al più presto. Questo permetterebbe alla gente di smettere di soffrire e di preservare la ricca tradizione musicale corale dell’Europa orientale, che rappresenta un prezioso patrimonio culturale.
AA: Luigi, l’ultima questione è più semplice e riguarda il futuro della “formula concorso”, non solo ad Arezzo, ma in generale. Ritieni che nel 2023 la formula del concorso, così come è strutturata, possa ancora mantenere un certo appeal? Oppure, come promotori della coralità, dovremmo orientarci verso altre modalità, come festival non competitivi, iniziative di alfabetizzazione corale e manifestazioni più inclusive?
LM: Direi che Arezzo possiede una tradizione già estremamente variegata. Da anni, ospita elementi non solo collaterali, ma parte integrante del concorso, come il convegno, la tavola rotonda e il concerto inaugurale, legato a una masterclass della scuola per direttori di coro. Il concorso in sé conserva alcune caratteristiche tradizionali, che nel contesto della tradizione aretina risultano ben radicate. Pertanto, credo che dal punto di vista della tradizione locale, questa “formula” possa continuare a mantenersi solida, data l’ampia gamma di aspetti già consolidati.
D’altro canto, se guardiamo a livello più nazionale che internazionale, emerge un ampio panorama di concorsi che, pur svolgendo una funzione valida, tendono talvolta a perpetuare quella rete interconnessa cui accennavamo in precedenza. La domanda che ognuno si pone è: “Qual è l’obiettivo per il mio coro?” La risposta, spesso, è l’iscrizione a un concorso specifico. Non nego che questo abbia il suo valore, tuttavia, sto meditando sulla formula stessa, che mi appare in parte antiquata. Emerge la necessità di promuovere modalità che stimolino la diffusione culturale invece di restare circoscritte, senza un vero scopo. La carta d’identità del Concorso Internazionale di Arezzo continua a essere la conservazione della tradizione di eccellenza. Tanto è vero che ho esteso la durata delle esecuzioni e ho cercato di introdurre, non sempre riuscendoci, una maggiore complessità nei brani obbligatori. Il futuro ci dirà. Tuttavia, considero l’idea che i premi dovrebbero riflettersi meno in termini monetari e più in termini di opportunità concertistiche orientate alla diffusione della cultura corale, anziché incentrarsi su assegni di 500, 1.000 € o a targhe commemorative.
AA: Ti ringrazio, Luigi, per questo proficuo scambio di opinioni. Spero che le nostre discussioni possano apportare un contributo significativo alla crescita e all’arricchimento della cultura corale, sia a livello nazionale che internazionale.
LM: Grazie a te, Andrea. È stato un piacere discutere di questi temi così importanti per la coralità. Spero che le nostre riflessioni possano contribuire a stimolare nuove prospettive e a promuovere una maggiore diffusione e apprezzamento della musica corale.